Svelato il segreto di Paganini
Nato a Genova nel 1792, Nicolò Paganini a soli otto anni comincia una carriera di concertista che lo porterà, nel giro di poco, ad essere considerato il più grande talento violinistico di tutti i tempi. Famoso anche, o soprattutto, per una condotta di vita originale, virtuoso della chitarra e del mandolino quanto dell’archetto, alla sua morte nel 1840, lascia un imponente corpus di opere e una difficile eredità. Mal tollerato, anzi apertamente osteggiato dai contemporanei, che hanno sempre liquidato la sua tecnica inarrivabile come un dono di natura, semplicemente legata ad una serie di fortunate coincidenze fisionomiche, morì senza poter realizzare alla sua più grande aspirazione: la codifica di un metodo che, a detta sua, avrebbe messo chiunque in condizioni di suonare al suo livello in cinque anni. In realtà Francesco Sfilio, allievo di Camillo Sivori, amico fraterno e a sua volta allievo di Paganini, nel 1937 pubblicò un metodo di studi, “Alta cultura di tecnica violinistica”, in cui codificava i dettami della scuola paganiniana in maniera netta e definitiva. Ma che fu ignorato dalle istituzioni e sbrigativamente accantonato.
Fino a quando, nell’estate del 2000, Giuseppe Bignami, violoncellista dell’orchestra del Carlo Felice, entra in una bottega d’ebanisteria, alla ricerca di qualcuno che sia in grado di rifare il ferma puntale del suo strumento, ormai consumato. E scopre, assolutamente per caso, la storia di Giuseppe Gaccetta, uno dei più grandi violinisti del nostro secolo, unico erede vivente della scuola del grande maestro genovese. “Pippo” ha da poco superato i novanta, ma fino a cinque o sei anni fa passava tutte le sue giornate in officina. Piccolo, quasi minuto, nasconde una forza d’animo immensa. Capace ancora di respingere un piccolo, incauto, rapinatore che ha cercato di assalirlo vicino a casa, quanto di affrontare gli impegni che la sua nuova vita gli impone, a ritmi frenetici.
Comincia a suonare il mandolino a 11 anni, come proprio Paganini, avviandosi inconsapevolmente a seguirne le orme. Nel giro di un anno è un professionista a tutti gli effetti, attivo all’interno di molte orchestre a plettro, tanto di moda nella Genova degli anni ’20. La sua non è una vita semplice: cresciuto da due zii affettuosi, ma che certo non navigano nell’oro, affronta le difficoltà, come la musica, di petto, anzi di cuore. All’improvviso, com’è nel suo carattere, passa al violino, dimostrando subito un talento fuori dal comune. Ma, mentre tutti ne cantano le lodi, è eternamente insoddisfatto del suo modo di suonare, come se sentisse che manca qualcosa. Gli parlano, alla fine, proprio di Sfilio e un comune amico combina un’audizione. Pippo, deluso da anni di studio con maestri mediocri è alla disperata ricerca di nuovi stimoli. Sfilio, ormai non vedente da anni, lo ascolta con attenzione, ma alla fine lo liquida con poche parole: è troppo tardi, è troppo vecchio, non sa neanche mettere la pece sull’archetto. Ma c’è qualcosa nell’entusiasmo, nel furore di quel quattordicenne che attrae l’attenzione del vecchio maestro, al punto di concedergli comunque un’opportunità: a patto di seguire per due mesi una particolare ginnastica propedeutica e non toccare lo strumento finché non gli sarà permesso, potrà presentarsi per una seconda audizione. Gaccetta ancora non lo sa, ma viene avviato alla scuola di Paganini. Si costruisce una rudimentale palestra in casa, fatta di elastici e pesi e segue scrupolosamente l’allenamento prescritto. Poi si ripresenta davanti a Sfilio, che prima di farlo suonare, smonta il poggia spalla dal violino. Imbracciato in questo modo, lo strumento non rimane parallelo alla spalla, come da dettami della scuola classica, ma si inclina verso il corpo. Il braccio dell’archetto, di conseguenza, scende quasi parallelo all’altro. La cavata e l’escursione si ampliano e acquistano un’energia, potenziata dalla ginnastica, fuori dal comune. Lo strumento, libero da “gabbie”, è molto risuonante, acquista timbro e volume. Dopo poche note, lo stesso Pippo non ha bisogno della conferma di Sfilio per sapere che, finalmente, ha trovato la sua strada. Ci sarà molto da lavorare sulla mano sinistra, spiega il maestro, per passare dalle canoniche sette posizioni, all’unica centrale utilizzata da Paganini, ma la via è aperta
Seguono anni in cui Gaccetta suona sedici, diciotto ore al giorno cercando di conciliare la vita quotidiana con la musica. Si trasferisce a Sanremo, presso la scuola di Sfilio e torna a casa solo di rado, nei fine settimana, per seguire alcuni allievi. Nello stesso periodo si reca due volte a Parigi, riuscendo a entrare in possesso di due tavole firmate da Stradivari, che farà assemblare da Oreste Candi, nel laboratorio di liuteria che ancora oggi si occupa della manutenzione del Guarnieri del Gesù, il celeberrimo Cannone di Paganini.
Proprio in occasione di una visita alla famiglia, assolutamente per caso, ha l’opportunità di registrare alcuni brani su un rullo a cera, l’ultima meraviglia tecnologica nel 1931! Senza esitazione, imbraccia il violino ed esegue i Capricci numero 23, 24, 15, 19, 22, 11, 13, 5, e 7, ovviamente in presa diretta e quasi senza pause. Questa incredibile testimonianza, arrivata fino ai nostri giorni per una serie di fortunate coincidenze è riconosciuta, in maniera unanime, come una delle migliori interpretazioni dei Capricci mai realizzate. Ha lasciato, letteralmente, a bocca aperta i migliori archetti del nostro tempo. E va sottolineato come Gaccetta non fosse che a metà del suo percorso di studi. Suonerà ancora per sette anni e si può solo immaginare a che livello possa essere arrivato.
Non è solo il naturale talento a renderlo grande, ma la conferma che il Metodo di Paganini funziona, quello che Sfilio cercava, a cui stava lavorando da tanto tempo. Avvia l’allievo alla professione in orchestra, a Nizza, dove può suonare tutto, tranne Paganini. Per quello dovrà attendere la grande manifestazione dedicata al maestro genovese, che Sfilio sta organizzando per il 1940, proprio nella sua città natale. Saranno invitati tutti i più grandi interpreti contemporanei che, ne è certo, non possono assolutamente competere con il talento e la tecnica di Giuseppe.
Ma
il vecchio maestro non ha fatto i conti con la storia, la Seconda
Guerra Mondiale incombe e Gaccetta, vista l’aria che tira,
preferisce tornare a casa, per stare vicino alla famiglia.
L’inflazione galoppante, in breve, gli porta via tutti risparmi e i
soldi che sperava bastassero a sostenere la famiglia fino alla fine
delle ostilità si volatilizzano in un attimo. C’è poco da
scegliere, bisogna rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Giuseppe
comincia la sua nuova vita, come falegname, artigiano ebanista. La
grande sfida, ovviamente, non avrà mai luogo e Sfilio, sconvolto
all’idea che si rovini le mani in officina, non gli parlerà per
anni. Con un carattere che non lascia spazio alle mezze misure, una
volta presa la decisione, abbandona la musica completamente. Il
violino, l’amato “Stradivari”, diventa una sorta di
portafortuna che lo accompagna ovunque, senza mai uscire dalla
custodia.
Grazie all’accurato lavoro di ricerca e documentazione di due giornalisti genovesi, Giorgio De Martino e Andrea Casazza, la storia di Gaccetta è stata salvata dal dimenticatoio. Una serie di articoli pubblicati dal Secolo XIX hanno stimolato l’attenzione delle istituzioni. Adesso Giuseppe ha diversi allievi, tra cui i primi violini del Carlo Felice a cui lascia suonare il suo strumento che, forse, non verrà bruciato come recita il suo testamento. Dirige una fondazione, dedicata al Maestro Sfilio, ha rimesso in commercio “Alta cultura di tecnica violinistica” con alcune revisioni, e tiene regolari corsi di aggiornamento al Conservatorio di Genova.
Mario Giovannini
Giorgio De Martino
Giuseppe
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