Passione, entusiasmo e grande umiltà, accompagnati da un senso dell’umorismo sottile ed elegante: Giovanni Pelosi è un amico e un gran chitarrista. Un musicista completo e professionale nell’accezione più vera del termine. A Franciacorta ha presentato il suo ultimo disco “Training” e, ovviamente ne abbiamo approfittato.
Incominciamo con un po’ di storia?
Se la Befana mi avesse portato, nel 1964, la pista Policar che avevo chiesto, invece di una Framus classica, al primo cambio di corde, cioè un paio d'anni dopo, equipaggiata con corde di metallo, magari oggi sarei appassionato di Formula 1, chissà. Nel 1966 una Hofner elettrica (già due chitarre tedesche, eh?), e via coi gruppetti a suonare Beatles, poi Jimi, i Cream, ma anche gli indimenticati Shadows ecc. Diciamo, basta storia. Per la verità, anche la geografia, in quel periodo, è stata complicata: da Roma mi sono trasferito prima nelle Marche, a Macerata, poi a Ferentino, in Ciociaria, per tornare a Roma nel 1967. Avevo 15 anni, dopo due mesi già suonavo con un nuovo gruppo, fino ai 19 anni. Erano gli anni delle cantine, ci capitò di suonare con i Motowns, Il Punto, i Free Love, alcuni tra i migliori gruppi a Roma dell'epoca.
Cosa ti ha spinto verso la chitarra acustica e il fingerstyle? C’è stato un brano in particolare, o un artista che ti ha “segnato” irrimediabilmente?
Il mio amico Marco De Marco, da anni insegnante di chitarra classica al Conservatorio di Frosinone, mi prestò il "Manuale" di Giovanni Unterberger, dicendosi convinto che quello era il mio genere. Per la prima volta (e, per ora, unica), studiai un libro di musica. Era l'inizio del 1981, nell'estate andai a Firenze a conoscere Giovanni, a settembre andai a conoscere Stefan Grossman a Grottaferrata (Roma).
Che ti devo dire, a parte la bellezza di alcuni studi di Giovanni e di alcuni brani di Stefan, ero molto più colpito dal "modo" che dal "cosa". Fin da allora, volevo suonare la musica che mi piaceva di più, e non erano gli originali per chitarra, ma quello che un po' di anni prima suonavo in gruppo e che aveva dato un'impronta definitiva al mio gusto. All'inizio del 1982 era già pronta la raccolta di arrangiamenti dei Beatles, che poi uscì nel 1983 per motivi di autorizzazioni, sai com'è. Poi, ho ascoltato una infinità di originali stupendi, il mio artista preferito è probabilmente Jerry Reed, volendo fare un solo nome. Se mi abbia segnato, non lo so. No, seriamente, forse Stefan Grossman. Sia per la quantità di volte che l'ho ascoltato e che, pazientemente, mi ha ascoltato, sia per la musica che ho potuto ascoltare a casa sua, in anni che non erano quelli di internet ecc.: Blind Blake, Merle Travis, Ton Van Bergeyk, Joseph Spence, Gary Davis, Martin Carthy, Davey Graham, a parte John Renbourn, Leo Kottke ed altri i cui lavori erano abbastanza facilmente reperibili.
Di sicuro, quest’anno non ti sei annoiato: Francoforte, Sarzana, Ferentino, poi il Mottarone, Franciacorta… devo continuare?
Se continuiamo così, mi si prefigura una discreta fama postuma, mi dedicheranno un muretto del balcone di casa... hai citato cinque eventi, per motivi diversi, "maggiori".
Per come sono fatto, i rapporti con le persone sono l’aspetto più importante di queste occasioni e, nell’ordine in cui li hai citati, Peter Gottschall, che mi ha invitato a Francoforte, Alessio Ambrosi, con il quale ho un ottimo rapporto di amicizia e collaborazione, gli amici di Ferentino, l’attuale sindaco era mio compagno di banco in quarto ginnasio, Lauro Bargellini e Dario Fornara, i promotori del Mottarone Guitar Friends, ed infine Giorgio Cordini e Luisa Moleri, veri autori di Acoustic Franciacorta, valevano da soli il viaggio. A questo aggiungi che tutte le volte è stato presente anche Reno Bandoni, che ho incontrato tantissimi amici di fingerpicking.net, e capisci che non potevo mancare.
E arriviamo a Training, il tuo disco nuovo. So che hai una filosofia abbastanza precisa su come lavorare in sala di registrazione, senza compromessi e senza interventi di correzione in post-produzione.
Mah, non so se sia addirittura una filosofia. Abituato come sono ad ascoltare chitarre acustiche pluggate, piezose o magneticose, con ben poco delle loro qualità acustiche, una volta che registro con dei buoni microfoni, un buon pre, non mi piace di rifare il trucco al tutto per far sembrare me e le mie chitarre migliori di quello che siamo. Vero è che, di fronte ad altri dischi, non facciamo sempre una gran figura. La mia ambizione è che siano dischi divertenti, a tratti emozionanti, non dischi inappuntabili. Il migliore consenso al mio approccio lo ha dato Gabriele Posenato, che ha dal vivo uno dei suoni più suggestivi che abbia ascoltato.
In questo lavoro ci sono un po’ tutti i tuoi grandi amori: Lennon McCartney, James Taylor, la canzone d’autore italiana e, finalmente, qualche brano originale. Se il buon giorno si vede dal mattino…
Ho sempre pensato che quella specie di obbligo, per cui un chitarrista deve scrivere dei brani propri, abbia avuto un effetto determinante nell'allontanare il pubblico dalla chitarra. Tra i chitarristi i buoni compositori sono merce rara, i grandi compositori rarissimi. Inoltre, sembra che un disco di chitarra debba avere una sorta di giustificazione tecnica, più che musicale. Come dire, se non sei bravo quanto Tommy Emmanuel, puoi avere anche delle belle idee, ma tienile per te. Quando faccio un CD, mi preoccupo che non sia noioso. Ed attingere ad alcune delle più belle canzoni mai scritte mi sembra prendersi un bel vantaggio. Non so, poi, se sia un buongiorno o una buona notte! I miei primi brani li ho scritti per due cortometraggi, interpretati dal bravissimo attore Renato Marchetti, della cui amicizia e stima godo tanto da essere chiamato in causa quando c'è da scrivere qualche soundtrack. Proprio in questi giorni, fra l'altro, ho ricevuto un inatteso premio per le mie composizioni per il cinema: al Festival MontesilvanoCinema, il 14 settembre, sono stato premiato come autore di colonne sonore, e "per avere importato nel cinema italiano le magie ed i suoni della chitarra fingerstyle". Quando mi metto a pasticciare sulla chitarra riconosco quasi tutto quello che faccio in brani conosciuti...ma adesso, ogni tanto, capisco che esiste anche qualcosa che viene da me.
Per gli arrangiamenti hai un approccio, un tocco che è diventato un tratto distintivo. Come lavori sui brani?
Distinguerei il tocco dall'approccio ai brani: il primo è dato da un uso abbastanza peculiare della mano destra, con i quarti pari quasi sempre strummati col dorso delle unghie, che può ricordare in tono minore il superpicking di Marcel Dadi, ma che credo di avere avviato in proprio, prima che del superpicking si sentisse parlare. L'approccio ai brani è, invece, piuttosto casuale e nasce, preferibilmente, da ricordi lontani. Questa scelta mi obbliga ad alterare qualcosa (sarei un buon trascrittore, credo, ma non mi piace farlo), di solito involontariamente. Non mi sforzo di personalizzare eccessivamente un brano che amo: voglio raccontarlo, rievocarlo. E lo faccio nel mio dialetto, quello di una chitarra acustica fingerstyle usata leggermente fuori dei canoni. Da un punto di vista più tecnico, parto dalla determinazione degli accordi che userò. Proseguo cercando di capire quale sia la tonalità più semplice o più efficace, dove si trovino i bassi più accessibili. Infine, cerco delle posizioni armoniche che consentano di suonare facilmente la melodia. Mi trovo spesso a suonare in Re con l'accordatura Low D o Dropped D, secondo le accezioni, ma uso quell'accordatura anche quando suono in Sol e, talvolta, anche quando suono in La o in Do.
Come vivi il palco e il concerto a solo? Hai qualche trucco anti panico?
Ho capito che la grande emozione che vivo ogni volta che sono sul palco è la ragione per cui ci salgo. Perciò ho imparato a darle una valenza positiva, di solito sono contento di essere lì, cerco di concentrarmi sulla musica e non su di me, su come sarò giudicato eccetera. Di particolare, faccio una sola cosa, quando ne ho il tempo: una autentica simulazione del concerto, non tanto dei brani (che decido sul momento, non ho mai una scaletta) quanto dell'atmosfera.
I tuoi prossimi impegni? E progetti futuri?
I programmi a breve, per quanto riguarda l'attività discografica, sono due: un CD con Boris Bursac, probabilmente dedicato alla musica di James Taylor. Ed un CD con Rodolfo Maltese, progetto della cui realizzazione siamo sicuri, ma che è in via di definizione per quanto riguarda il contenuto. Per quanto riguarda l'attività live, ho dovuto diradare un po' gli impegni, anche per cominciare ad occuparmi pienamente di questo programma discografico; fino alla fine dell'anno dovrei suonare soltanto a Rassina (Arezzo) il prossimo 30 settembre con Reno Brandoni e a Bassano del Grappa, a novembre, con Rodolfo Maltese e Giovanni Ferro.
Parliamo un po’ di quella strana chitarra che ti porti appresso ultimamente? Ovviamente scherzo, anzi ho visto che le Pelosi Signature sono diventate due…
Qualche amico dice che non l'ho pagata tutta, con il doppio cutaway e quell'apertura. Io rispondo che le manca soltanto un reggiseno... Peter Gottschall, per mia grande fortuna, apprezza quello che faccio quanto io apprezzo lui. Beh, direi che non può apprezzarmi quanto lo apprezzo io, perché lo ritengo un genio. Mi hanno rapito i suoi concetti di fisica acustica, il suo gusto estetico e la cura assoluta con cui lavora. Mancavano, secondo me, le misure giuste del manico e l'impiego dei legni canonici per il fingerstyle...così è nata la signature. Sono ancora alla ricerca di un sistema di amplificazione che le renda giustizia, il piezo passivo EMG abbinato all'AD5 della Boss va benissimo, ma è pur sempre un piezo... E' stato un successo, ha avuto, specialmente in Germania, diversi ordini, cinque in una settimana! Ma sta crescendo l'interesse in generale per la sua produzione: pensa che John Pearse ha comperato la chitarra con la quale avevo appena suonato a Francoforte, e ne ha ordinata un'altra. Anche Solorazaf, ultimamente, sta utilizzando una Gottschall nylon.
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