Peter Finger

Questa intervista a Peter Finger risale al 2007 edè stata pubblicata sul mensile Chitarre lo stesso anno
Se si ama la chitarra e la musica acustica in generale, è difficile non essersi mai imbattuti nell’opera di Peter Finger. Fin dagli anni ’70 la sua intensa attività concertistica lo ha portato alla ribalta sui palchi di tutta Europa. A soli diciannove anni cattura l’attenzione di Stefen Grossman, che se lo vuole con sé in tournée, anche in America. Dopo i primi lavori registrati per la Kicking Mule, nel 1988 fonda una propria etichetta, la Acoustic Records. Dalla metà degli anni ’90 il chitarrista tedesco e la sua casa discografica diventano un fondamentale punto di riferimento per la scena chitarristica europea. Instancabile divulgatore e promotore, organizza ogni anno il festival Open Strings, che si tiene a settembre a Stadthalle Osnabrück, forse il più prestigioso concorso per talenti emergenti di tutto il continente. Dal 1995 è anche l’editore della rivista Akustic Gitarre Magazine… in buona sostanza è uno dei principali “responsabili” del momento di grazia che la chitarra acustica sta vivendo negli ultimi anni. Non per questo ha trascurato l’attività artistica producendo, negli anni, un corpus di opere davvero interessante. La sua musicalità, colte e raffinata, prende ispirazione dalla musica classica quanto dalla pittura impressionistica. Coinvolge e sorprende l’ascoltatore con melodie delicate unite al gusto per l’improvvisazione e a un virtuosismo quasi scoraggiante. Il suo ultimo disco risale al 2004, Dream Dancer, una delicata raccolta di ballad e canzoni d’amore che ne mette a nudo il lato più intimo e introspettivo. Lo abbiamo incontrato a Novara, per l’ultimo appuntamento della rassegna Chitarra e Autore, e come di consueto dopo il sound check c’è stato modo di scambiare quattro parole con il disponibilissimo Peter. E’ la prima data di questo tour italiano? Chiamarlo tour forse è un po’ pretenzioso, sono solo due concerti, questo e uno a Torino. Poi torno direttamente a casa. Ma non è la prima volta che vieni in Italia, ti piace il nostro paese? Sì certo, vengo sempre volentieri. E negli ultimi anni sta andando sempre meglio, ci sono più posti dove suonare e, soprattutto, in cui trovare una audience attenta e interessata. In effetti stiamo vivendo, da alcuni anni, un buon periodo per la chitarra acustica. Ma probabilmente non è un fenomeno limitato solo all’Italia… E’ vero, anche se non siamo ancora arrivati ai massimi livelli. Se non altro, è possibile trovare pubblico che riempia le sale. Sai, mi capita spesso di suonare in posti dove non mi conoscono affatto, ma c’è sempre gente. Certo non sono grossi numeri, ma la media delle presenze agli spettacoli è piuttosto buona. E’ una situazione che sta migliorando, nel tempo? Direi proprio di sì, anche se non stiamo proprio parlando di folle oceaniche. Musicista, discografico, produttore, editore, qual è il tuo ruolo prevalente in questo momento, e cosa preferisci fare? Il costruttore di chitarre [ridendo]. No, no, non scherzo, mi sto costruendo da solo le mie chitarre, in questo periodo. Ma essenzialmente sono musicista e un compositore. Suonare è la cosa che mi piace di più, anche se devo ammettere che lavorare sugli strumenti mi sta prendendo molto. Certo, le mie attività mi portano a lavorare su tante cose differenti. Oltre a seguire la produzione dell’etichetta discografica, abbiamo appena terminato la realizzazione di un centro culturale in cui abbiamo concentrato studi di registrazione, un teatro che contiene cinquecento persone, negozi di dischi e di strumenti. A breve partirà anche il progetto che prevede di realizzare, in questi studi la registrazione dal vivo di concerti e workshop di vari artisti, da riproporre poi in Dvd. E’ questa la nuova direzione in chi si sta muovendo l’Acoustic Records? Sì, per me l’importante è comunque continuare a lavorare con la musica. Ma, soprattutto, continuare a divertirmi a fare quello che faccio. E’ solo per questo che continuo a fare tante cose diverse. A proposito di cose molto diverse tra loro il tuo ultimo disco, Dream Dancer, romantico e introspettivo, è davvero distante dal precedente Blue Moon, un lavoro ricco di energia, dinamica e virtuosismo. Dream Dancer è stato un concept album, basato esclusivamente su ballad. Era quella l’idea di base, per dare una risposta concreta a tutte le persone che mi chiedevano questo genere di pezzi. Così ho deciso di raccogliere in un unico disco tutte le balld e le canzoni d’amore scritte nel corso della mia carriera. Ci sono pezzi che hanno parecchi anni. Il prossimo disco sarà sicuramente molto differente. Certo che leggendo le note del booklet del disco, c’è da stare male. Hai usato una varietà meravigliosa di chitarre, alcune sono davvero dei pezzi fantastici d’epoca. C’era una precisa ricerca timbrica dietro all’utilizzo di tante chitarre? Un paio d’anni prima di registrare il disco ho avuto la possibilità di fare una tournée in America e ho trovato queste meravigliose Martin d’epoca, degli anni ’20, e ne ho acquistate alcune. Quando è stato il momento di entrare in studio per registrare, ho deciso di utilizzarle. Non so se sia stata una buona idea, questo me lo devi dire tu. Ma ti garantisco che mi sono divertito parecchio a suonarle. Uno dei miei pezzi preferiti del disco è Ballad for a Princess, so che c’è una bella storia dietro la canzone… E’ dedicata a mia figlia che vuole suonare la chitarra, ma non vuole studiare. A Natale, un anno, le ho regalato il suo primo strumento e lei pensava di poterlo prendere in mano e suonare, esattamente come ha sempre visto fare a me. Quando si è resa conto che non era possibile, ma era necessario applicarsi e studiare, non ne ha più voluto sapere. Non l’ha più neanche guardata, fino a un paio d’anni fa. Poi ha cominciato a uscire con un ragazzo e, dopo un po’ che si frequentavano, ha scoperto che era un mio grande fan. E’ stata una grande sorpresa per lei. E così, adesso, anche grazie a lui, ha cominciato a suonare qualcosa. E tu, quanto tempo dedichi allo strumento? Ci sono periodi in cui studio tantissimo, altri in cui non tocco la chitarra per parecchio. Dipende dal progetto a cui mi sto dedicando in quel momento. Adesso non sto suonando molto, ma entro un paio di mesi devo assolutamente mettermi a suonare come un pazzo. Diciamo comunque che mediamente cerco di passare almeno due ore al giorno sulla chitarra. O almeno ci provo.
Qual è il tuo approccio alla composizione e all’arrangiamento dei brani? La mia più grossa fonte di ispirazione è sempre stata la musica classica. Ascolto tantissimo i lavori di Stravinsky, Debussy, Ravel, ma tutta la musica classica in generale, anche se non amo particolarmente quella contemporanea. Compongo spesso con il violino, ma l’approccio di base rimane sempre quello legato alla musica classica. Ma una volta trovata l’ispirazione, come lavori all’arrangiamento di un brano? Sempre prendendo spunto dalla musica classica. Ogni volta che ascolto qualcosa di interessante, la analizzo a fondo, per scoprire come è strutturato. Una volta sviscerata la progressione armonica, quasi in termini matematici, posso utilizzarla per ottenere l’arrangiamento che desidero. In pratica, una volta che ho capito le regole che stanno dietro, cerco di appropriarmi di quel linguaggio e di incorporarlo nel mio vocabolario. Penso che sia il modo migliore per capire la musica e imparare cose nuove. So che anche la pittura è una grossa fonte di ispirazione per tutta la tua produzione, vero? Amo la pittura e i quadri, mi piace molto dipingere, ma non sono proprio capace [aggiungendoci una bella risata]. Quindi devo dipingere i miei quadri con la musica. E’ anche più facile comunicare attraverso la musica, almeno per me, un certo tipo di sensazioni. La tua dimensione live, a solo, è forse la più impegnativa. Come la vivi? Fondamentalmente il problema non si pone, io preferisco suonare da solo. Così posso concentrarmi solo sulla mia musica. Diciamo che per natura mi esprimo meglio come solista. E faccio anche una figura migliore, perché il mio senso del ritmo non è proprio perfetto. Ma è proprio parte del mio essere. La musica che ascolto, allo stesso modo, è strumentale a solo. Difficilmente ascolto formazioni troppo complesse, meno che mai big band o grandi orchestra, massimo due, tre strumenti. Non mi piace ascoltare troppe voci contemporaneamente. Artisticamente, a che punto ti senti di essere arrivato? Bella domanda… io più o meno sono qui [indicando un punto in aria all’altezza della spalla] e vorrei arrivare almeno fin la [mimando con l’altra mano un’altezza vertiginosa]. Penso che sia una strada, quella che voglio percorrere, che non finirà mai. Scherzi a parte, per il momento la musica che c’è nella mia testa e quella che posso, che riesco a suonare sono molto differenti. Vorrei arrivare al punto di poter esprimere senza fatica tutto quello che mi si agita dentro. Ma sono ancora molto lontano da un risultato del genere. Mi serve un bagaglio tecnico molto più vasto. Anche se a volte penso che sarebbe bello anche rilassarsi, sedersi e suonare, giusto per il gusto di farlo. Ma suonare dal vivo mi piace così tanto, che alla fine riprendo sempre ad esercitarmi con entusiasmo. Anche perché in concerto rendo molto al di sotto delle mie reali possibilità. Riesco a suonare all’80/85% delle mie capacità, e quindi ho bisogno di incrementare un po’ il mio margine, per mantenere un livello accettabile. Lavori meglio in studio? Oh no! Quando parte il Rec, è la stessa cosa che suonare dal vivo. Rendo bene sul divano di casa mia, è l’unico posto dove suono davvero bene. Quindi ho bisogno di garantirmi un certo margine di sicurezza per andare sul palco e riuscire comunque ad essere rilassato.
Stai lavorando a un disco nuovo? Ho in cantiere alcune nuove composizioni, ma per il momento non sto ancora pensando di fare un nuovo Cd. Anzi, probabilmente il mio prossimo lavoro sarà su Dvd. Solo su Dvd? Ancora non so, più probabilmente sarà un prodotto ibrido Cd/Dvd. Sto lavorando su dei brani che andranno a fare da sottofondo a delle poesie, tratte dalla letteratura tedesca, ma recitate direttamente in inglese. Tanto in Germania tutti parlano inglese. Ma non c’è ancora nulla di definitivo, in questo momento. Possiamo parlare un po’ della chitarra che stai usando in questo momento e di come è amplificata? Il discorso sull’amplificazione è molto semplice: nessuna amplificazione. Non ho voluto montare nessun sistema sulla chitarra, mi affido ai microfoni che trovo nelle sale in cui mi esibisco e all’impianto che trovo in loco. Una scelta coraggiosa. Certo che la chitarra che la chitarra in questione deve aver un gran suono… E’ una Finger 2007 originale [sorridendo compiaciuto], l’ho appena finita. Fasce e fondo in palissandro indiano, tavola in abete tedesco, un leggero cutaway, il disegno è molto vicino a quello delle Martin OM. Non uguale, ma molto simile. Ne ho costruite due, contemporaneamente, ma ne ho portata in tour una sola. Quindi non usi nessun tipo di effetto, sulla chitarra? Guarda, a volte mi capita di suonare addirittura senza amplificazione. Certo devi essere nella situazione adatta. In Germania, in particolare, ci sono sale da concerto concepite apposta per la musica classica dove è possibile farlo. E mi piace molto. Del resto i musicisti classici non usano mai l’amplificazione. Magari i chitarristi qualche volta, ma non è molto frequente, preferiscono farne a meno. L’amplificazione, alla fine, è una mediazione del suono reale dello strumento e spesso è più facile suonare in quel modo. Cambia in maniera radica l’approccio allo strumento. A questo riguardo, cosa ne pensi delle nuove tecniche applicate alla chitarra acustica? Mi riferisco a tapping, percussioni, varie ed eventuali… Io non lo faccio, anche perché sono vincolato dai plettri da dito che utilizzo nella mano destra. Ma in fondo, perché no? Solo perché io non posso farlo, non vuol dire che non ne possa uscire della grande musica.

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