Professione? Menestrello! Angelo Branduardi

 Intervista pubblicata su Folk Bullettin nel 2009



Diplomato al conservatorio in violino, solista dell’orchestra del Paganini di Genova prima di innamorarsi della musica pop, Angelo Branduardi ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella musica italiana d’autore. A cominciare dal travolgente successo, nel ’76, di ‘Alla fiera dell’Est’ fino ai nostri giorni con ‘La Lauda di Francesco’, realizzato in occasione del Giubileo per i frati Francescani di Assisi. Senza dimenticare il progetto, in continua evoluzione, di Futuro Antico. Attento conoscitore della musica folk europea, ha spesso unito la dimensione teatrale a quella musicale, contaminando, mischiando e sorprendendo. Assieme a Maurizio Fabrizio, che viene considerato a tutti gli effetti il suo alter ego chitarristico, ha realizzato soprattutto negli album dal vivo, veri capolavori di costrutto e per soluzioni armoniche.

Vorrei cominciare dallo spettacolo cui assisteremo stasera: com’è nata l’idea e come avete sviluppato il progetto della Lauda di Francesco? Immagino che abbia preso le mosse da ‘L’Infinitamente Piccolo’…

Quella che eseguiremo stasera è la versione in forma di ‘oratorio’ della Lauda, senza azione scenica e senza coreografie. Nonostante l’organizzazione abbia insistito per avere lo spettacolo completo, in questo momento non era proprio possibile riunire tutta la compagnia. E’ una grossa produzione che ha necessità ben precise. La Lauda è nata a seguito della pubblicazione de ‘L’Infinitamente Piccolo’, il disco che mi è stato commissionato a suo tempo dai Francescani per il Giubileo. Ed è stata una scommessa vincente. Visto il successo ottenuto, mi hanno poi chiesto di ricavarne un musical.

Che in questo periodo vanno tanto di moda…

Sì, infatti. E sul subito non ho reagito bene. Poi ho pensato che, comunque, la Lauda è una delle forme primitive del teatro italiano, figlia diretta del Cantico e della tradizione francescana. Quindi abbiamo lavorato in questo senso, cercando di rispettarne il più possibile i canoni che ci sono stati tramandati. Poi, ovviamente, nessuno ne ha mai vista una, ma abbiamo cercato di realizzare quella che secondo noi poteva essere la Lauda arcaica. E’ talmente minimalista e semplice da essere ritenuta da molti critici un progetto d’avanguardia.



Negli ultimi anni hai lavorato molto sulla ricerca e la riscoperta di cellule melodiche tradizionali, che hai rielaborato e riarrangiato… da cosa nasce la spinta in questa direzione?

Mah, il discorso potrebbe essere lunghissimo, cercherò di essere più conciso possibile. Si potrebbero citare un’infinità di motivi, a cui però onestamente non ho mai pensato. A cominciare dalla crisi della musica occidentale, che non ho inventato io, ma è una realtà. E la conseguente, continua spinta alla riscoperta di cellule melodiche non legate all’invenzione dell’armonia e dell’accordo. Tutte cose vere, e giuste, ma non mi appartengono. Il mio percorso è partito dopo il diploma al conservatorio, dove queste cose non vengono assolutamente insegnate, visto che si parte dal Barocco. E l’ho fatto esclusivamente per piacere e per istinto, per gusto personale. Non c’è niente altro dietro, se non il piacere di recuperare alla memoria una parte di quello che siamo.

State buoni se potete, Il Carnevale degli animali, Pierino e il Lupo, fino al Viaggio Incantato, la commistione tra musica e teatro, nelle sue varie forme, direi che ti è congeniale e di ispirazione… per non parlare di Altro e Altrove

Assolutamente. Del resto, probabilmente, sono disposto a fare qualsiasi cosa con la musica. Mi è sempre piaciuto diversificare, sperimentare e mettermi alla prova. In fin dei conti, mi reputo un musicista che, per caso, si è messo a cantare. Tra l’altro, non ho mai neanche amato particolarmente i cantanti, ma questa è una tendenza abbastanza diffusa tra gli studenti del conservatorio. Che mi pare duri tuttora, stando a quello che mi racconta mia figlia, che è violoncellista. Altro e Altrove, in particolare, è stato ed è un progetto a cui tengo moltissimo. E’ stato difficilissimo realizzare un’interpretazione musicale dell’antica poesia erotica ‘primitiva’.

Sulla copertina del Dvd della Lauda imbracci una splendida chitarra arpa a 18 cori, opera del liutaio Andrea Castellaro. Com’è nata l’esigenza di uno strumento tanto particolare e come avete lavorato alla progettazione?

Devo essere sincero: non sono molto ferrato sulla storia della chitarra arpa, sicuramente siete molto più indicati voi ad approfondire un argomento del genere.



Ma cosa ti ha dato l’idea per uno strumento così particolare?

L’ho vista! Su un libro che parlava di un chitarrista, e cantante, vissuto all’inizio del secolo. Mi sfugge il nome, in questo momento, ma aveva una storia molto particolare: un grande virtuoso, emigrato poi in America…

Non è che stiamo parlando di Pasquale Taraffo?

Può essere, in effetti. Comunque l’idea è partita dall’immagine di questo strumento particolare. Poi mi sono documentato un po’, soprattutto su Internet. Ma ho scoperto anche che quasi tutti i costruttori che trovavo erano americani. Poi mi sono imbattuto nel sito di Davide e ho deciso di andarlo a trovare a Ovada, nel suo laboratorio. Ho visto alcuni dei lavori che aveva già fatto in questa direzione e gli ho spiegato quello che volevo ottenere.

Vorrei insistere un po’ sul tuo rapporto con la chitarra. Ricordo di aver letto in una tua vecchia intervista che a un certo punto hai sentito l’esigenza di…

Smettere di suonarla? [mi interrompe ridendo]

Veramente volevo dire di ‘cominciare’ a suonarla.

Ah, sì, ecco [sempre ridendo]. Come ti dicevo ho studiato violino al conservatorio, ovviamente con il complementare di pianoforte. Ma a un certo punto ho sentito la necessità, da adolescente, di avere uno strumento armonico che non fosse necessariamente il pianoforte. Per il quale per altro non ho mai avuto una grande passione. Se mi passi una espressione un po’ forte, l’ho sempre considerato una grande macchia da scrivere. Lo uso tuttora, mi piace ascoltare i grandi pianisti, ma non ho una particolare passione nel suonarlo. E non sono molto bravo, onestamente. Ho preso il minimo all’esame. Quindi ecco l’esigenza di uno strumento più ‘portabile’, con cui dare voce alle tempeste ormonali dell’età. L’approccio allo strumento non è stato molto complicato, con il bagaglio del conservatorio. Suono solo chitarre con corde in nylon, con le dita, mai con il plettro. Ho lavorato in particolare sulle tecniche della mano destra, per l’accompagnamento in fingerpicking.

Negli ultimi anni non ti abbiamo visto spesso con la chitarra in mano, però…

Infatti, era quello che volevo dire prima. Senza, tra l’altro, alcun motivo particolare, mi sono pian piano allontanato sempre di più dalla chitarra.

Ci è voluta la chitarra arpa per farti ritrovare l’entusiasmo perduto?

Sì, direi proprio che è andata così. Anzi, è stata sicuramente la limitazione intrinseca della chitarra a darmi fastidio, alla lunga. Invece la chitarra arpa ha tutta l’estensione che mi serve, facendomi tornare l’entusiasmo.

Mi piacerebbe spendere qualche parola anche sul progetto Futuro Antico, con cui sei arrivato al quarto disco. Ci sarà un Futuro Antico 5?

Certamente, di questo sono sicuro. E’ un progetto con cui voglio andare avanti. Probabilmente sarà ancora dedicato a Venezia. Anche questa è un’idea nata quasi per caso con il Maestro Renato Serio, per realizzare questa sorta di ‘hit parade’ della musica medioevale. Da un lato ci ho preso gusto, e poi hanno cominciato ad arrivare le richieste. Per cui Giorgio Mainerio e la musica del Patriarcato di Aquileia, poi i Gonzaga per la Mostra della Celeste Galleria e alla fine il Comune di Venezia, con la richiesta di musica rinascimentale legata al Carnevale. Ora stiamo definendo l’accordo per un disco non necessariamente legato al discorso del Carnevale, ma più improntato verso la musica sacra. Probabilmente si intitolerà ‘La Serenissima’. Ma ce ne sono altri di progetti simili in ballo, sono idee che girano, magari non velocemente, magari un po’ ai margini, ma che alla fine arrivano. E rischi di dover seguire una sorta di carriera parallela. La formazione attuale, Scintille di Musica, è composta da tredici elementi ed è diretta da Francesca Torelli che, oltre è l’insegnante di Liuto e Torba al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, è il mio alter ego. Del resto, non sono un topo di biblioteca ne un musicologo, io ascolto e se mi piace una cosa la faccio. E’ lei che garantisce l’aderenza filologica ai canoni della scrittura. L’unica cosa che non è ‘filologica’ è la mia voce, ma del resto nessuno sa veramente se quel tipo di musica veniva effettivamente interpretato da soprani, come succede ora, o più probabilmente da voci non impostate.

Avete conservato le tonalità originali dei brani?

Nella maggior parte dei casi sì, non in tutti. Non avrò una gran voce, ma ho comunque un’ottima estensione [sorridendo]

Più che altro mi riferivo ad un problema di registro, più che di estensione…

Nel caso, passo all’ottava sotto. Ma sono quasi tutti in tonalità originale.

In una carriera, come la tua, ricca di soddisfazioni, cosa ti fa scattare ancora la molla per andare avanti? Cosa ti spinge sempre alla ricerca di nuova ispirazione?

Sai, sono abituato a far musica da così tanti anni, stiamo parlando di oltre 35 anni di carriera. E per tutto questo tempo la musica mi ha divertito, consolato, curato, mi ha fatto ridere, mi ha fatto piangere. Cito una frase di Brach, che era un pittore ma è molto azzeccata e che io adatto volentieri alla musica: “Ogni nota in più che suono è una cicatrice in più e una ferita in meno sulla mia anima”. Questa è stata la grande funzione della musica nella mia vita. E non potrà mai venire meno…

C’è un prezzo da pagare? Da punto di vista personale intendo…

Si paga, si paga. Nulla è gratis nella vita.

Commenti