Michael Hedges

 Pubblicato su Chitarre n. 284, ottobre 2009



Michael Hedges è scomparso, drammaticamente, dieci anni fa. Alla guida della sua auto, mentre percorreva la statale di Mendocino County, a circa cento miglia da San Francisco, il 30 di novembre del ’97 è stato coinvolto in un incidente stradale. Il suo corpo è stato ritrovato solo il 2 dicembre. Solo pochi, pochissimi altri artisti hanno segnato, come Michael, la produzione artistica dei nostri giorni. La sua influenza, la sua eredità, le geniali intuizioni, l’inusuale stile alla chitarra acustica si trovano in tutta la musica contemporanea e ne fanno un punto fisso di riferimento per chiunque si avvicini allo strumento.

E’ stato quasi inevitabile, in questi anni, accostarlo a Jimi Hendrix, per molti fattori. Il genio splendente, una vita breve, intensa, bruciata velocemente. Nessuno, al pari loro, ha saputo sconvolgere, anzi stravolgere completamente i canoni dello strumento, reinventandone radicalmente l’approccio. Ma soprattutto, al pari di Jimi, Hedges ha sempre colpito il grande pubblico per l’aspetto virtuoso e pirotecnico delle sue esibizioni, lasciando così in ombra un genio compositivo forse troppo avanti, rispetto al suo tempo. Michael si considerava un musicista, e lo ripeteva spesso durante le varie interviste dell’epoca. La chitarra era un mezzo, non un fine, per la sua espressività, capace di incorporare le più diverse influenze, attingendo da arte e filosofia allo stesso modo. Attivissimo praticante di yoga e di meditazione zen, la spiritualità era una componente fondamentale della sua vita, che emerge prepotente in tutta la sua opera.

Di formazione classica, diplomato al Peabody Conservatory di Baltimora, dimostra da subito una fame quasi insaziabile di ascolti, interessandosi alla musica elettronica quanto all’opera di Fahey e Kottke. Dalle corde in nylon alla chitarra elettrica il passo è breve, parallelamente alla scoperta di Led Zeppelin, Pat Martino, Grand Funk e Mick Marshall.

Ma sopra ogni cosa, è fondamentale l’incontro con Will Akerman, fondatore della Windham Hill, etichetta discografica e punto di riferimento culturale e sociale nella Bay Area.

Narra la leggenda, raccolta su Internet, che il direttore del teatro di Palo Alto, dove aveva anche sede anche la celebre casa discografica, racconti così il suo incontro con Michael: 

«Era un pomeriggio come tanti, quando vidi arrivare un giovane ragazzo coi capelli lunghi, la chitarra in mano e tutto l’aspetto da musicista di strada. Il ragazzo mi si fece in contro e mi disse: “Ho saputo che questo è il posto dove si può suonare in città!”, io risposi subito “beh, dipende da che genere suoni!”, e lui guardandomi con aria perplessa disse “io non saprei proprio dirti che genere faccio, però se ti può interessare posso dirti che mi piace molto Neil Young”. Risposi “ah, ne abbiamo fin troppa di gente che fa dalla mattina alla sera Nash, Still, Crosby... no, grazie, non siamo interessati”, e lui “bene, dimmi come vuoi che suoni allora!” ed io “beh, se tornassi domani dicendomi che suoni come Alex De Grassi o Will Ackerman la cosa potrebbe interessarmi decisamente di più”. Lui rispose semplicemente “Ok” e andò via.

Il giorno dopo il ragazzo si recò nuovamente al teatro con in mano una cassetta su cui aveva registrato due brani (uno dei quali era Silent Anticipation). Il direttore del teatro nel sentire i due brani rimase sbalordito ed organizzò subito un concerto. Dopodiché si recò da Ackerman, allora boss supremo della Windham Hill, e gli offrì due biglietti per il concerto con tanto di cena pagata dicendogli “assolutamente devi venire a vedere, c’è un ragazzo incredibile con la chitarra”. Ackerman probabilmente pensò “una cena gratis e concerto... si può fare”. A fine concerto chiese a quel ragazzo, che si chiamava Michael Hedges, di firmare il suo contratto per la Windham Hill su un tovagliolo di carta».

Dall’81 al ’97 ci lascia una manciata di album, in cui sconvolge il consueto modo di intendere la chitarra, fa fare passi da gigante alle tecniche di amplificazione, facendo solo intuire quale sarebbe stato il suo potenziale. I suoi capolavori sono sicuramente “Aerial Bounderies”, “Taprott” e “Oracle”, che contengono brani indimenticabili come “Ragamuffin”, “Magic Farmer” e tanti altri, ma in tutta la sua produzione affiorano autentiche gemme di ispirazione. Quando il povero John Stropes si trovò alle prese con l’improbabile impresa di trascriverne le opere si rese conto dell’inadeguatezza della notazione tradizionale. Il suo impatto fortemente fisico con lo strumento, unito all’uso di accordature alternative che spingevano molto in “basso” il registro abituale della chitarra, ha obbligato John a ricorrere a ben tre righi differenti: chiave di basso, chiave di violino e notazione ritmica per esprimere appieno l’approccio orchestrale che aveva con la musica. 

John Stropes è stato un grande amico di Michael, per quasi tre lustri. La loro collaborazione comincia nel 1985 e culmina con una serie di pubblicazioni, edite dallo stesso Stropes, che rappresentano la miglior testimonianza delle sue opere cui possiamo attingere. John lo ricorda sempre con intensità e affetto:

«Ho lavorato a lungo con Hedges, più di dodici anni, per documentare e trascrivere le sue opere. Un lavoro che ho fatto con amore e con gioia. E’ stato un onore lavorare con lui. Nelle sue composizioni uno dei concetti base, e il più interessante, era come ciascuna delle mani suonasse in maniera indipendente. Questo portava ad avere fino a quattro linee differenti suonate contemporaneamente. Per una corretta trascrizione, ho cominciato a riprendere, ogni volta che se ne presentava l’occasione, le sue esibizioni con tre telecamere, una per mano più un piano totale. Poi le riguardavo in studio, rallentando il più possibile la velocità del nastro. Dopo una prima stesura, completata dai commenti di Michael sulle intenzioni del brano, passavo a confrontarle con le incisioni per Windham Hill, per renderle il più possibile vicine agli originali. Ed infine i brani venivano sottoposto ad un gruppo di studio di chitarristi, ovviamente di livello tecnico adeguato, per verificarne l’efficacia. Per fortuna tutto questo lavoro è stato fatto nel momento migliore della sua produzione artistica e, a posteriori, mi rendo conto quanto sarebbe stato grave se tutto questo fosse scomparso con lui. Ma era sul palco che dava il meglio di sé. Aveva una presenza scenica immensa, una vera forza della natura. E un suono… aveva una sua personale visione del suono per la chitarra acustica, che andava oltre qualsiasi riferimento. I suoi sound check erano leggenda: sapeva a memoria la frequenza di qualsiasi nota sul manico della chitarra. Se c’era un problema in sala, individuava immediatamente, a orecchio, gli interventi da effettuare. Ma tutto questo non avrebbe fatto nessuna differenza, se Michael non fosse stato uno dei più grandi compositori del mondo. Tutta la sua sperimentazione era mossa dal desiderio di comporre, di esprimersi attraverso la musica. Andres Segovia, nel tentativo di promuovere la chitarra classica, ha sempre cercato compositori in grado di fare per il nostro strumento quello che Chopin fece per il piano. Michael Hedges ci è riuscito».

Per ricordare degnamente Michael, la parola va a chi la chitarra acustica la vive oggi, cercando di capire quali influenze, quale eredità ci ha lasciato, in che modo il suo virtuosismo e la sua genialità hanno segnato il nostro tempo, chi ne ha raccolto l’eredità e dove sta andando la Nuova Chitarra Acustica.


Pino Forastiere

Nel 1992 ero estremamente concentrato e chiuso nello studio per conseguire il diploma in conservatorio. Con la dieci corde stavo studiando musica barocca, musica contemporanea di Maderna, Maurice Ohana, la sequenza di Berio. Parallelamente continuavo i miei studi di composizione, ma quello che scrivevo aveva un non so che di involuto, troppo rivolto a celebrare l’illusione di aver compreso la grammatica. Esercizi, solo inutili esercizi. Un mio amico mi fece ascoltare Michael Hedges, ed il brano in questione si intitolava Aerial Boundaries. Non capii granché del suo chitarrismo, ma una cosa mi fu chiara immediatamente: era possibile scrivere ed eseguire musica per chitarra acustica di eccellente qualità. Intuii che era possibile far convivere elementi estremamente colti con altri popolarmente visionari. Questo pensiero fece scaturire in me la curiosità di osare oltre lo strumento, tanto che iniziai a scrivere senza imbracciare la chitarra, non volevo che mi vincolasse. Il nuovo approccio inevitabilmente mi ha obbligato a violentare il mezzo, a modificarne il registro, a giocare con il legno, a inventare suoni-non suoni, a provare sistemi di amplificazione che deformano la chitarra fino a renderla finalmente e solo strumento, ponte per il solo unico fluire dell’elemento che esiste oltre noi stessi e a prescindere da noi. Ovviamente parlo della Musica. Questo, che è il mare del mio navigare e che oggi ancora palesa la sua meravigliosa vastità. Senza Hedges mi sarebbe stato ignoto e buio.

Penso che una volta scritta, la musica sia nell’aria, quindi di chiunque abbia orecchie per sentire e cuore per capire. Se a questo aggiungiamo che il senso maggiormente allertato dal pubblico-chitarrista non è l’udito, bensì la vista, è facile capire il perché forse di Hedges si abbia solo una parte di ricordo, quella cioè legata alla sua stravaganza e al suo genio di uomo di spettacolo. Io credo che Hedges sia una sintesi straordinaria di più elementi legati al mondo dell’arte, e come tale andrebbe amato, analizzato, studiato. Con più onestà intellettuale bisognerebbe quindi amarlo, analizzarlo, studiarlo. Credo che molta della musica per chitarra di Hedges dovrebbe a buon diritto essere musica di repertorio, a condizione di avere cuore, cervello e mani.  


Franco Morone

E’ stato senz’altro un punto di riferimento, non solo musicalmente e tecnicamente, ma anche il suo approccio spirituale, umano e culturale era qualcosa di raro da trovare.  Infatti le sue tecniche innovative erano tutte al servizio delle composizioni. Tanto per esemplificare: un tapping in un certo punto del brano era necessario e funzionale magari ad una esecuzione veloce di note che, altrimenti non poteva essere realizzata in altra maniera; ma sopra tutto il suo gusto compositivo valorizzava ancora di più queste acrobazie sulla tastiera. Oggi ci sono molti chitarristi che emulano le gesta di Michael, senza tuttavia riuscire a cogliere il suo grande insegnamento. Le tecniche, in fondo, sono solo un mezzo per esprimere le tue emozioni, molto meglio studiare quindi i suoi brani prima di comporre qualcosa che risulti una brutta fotocopia e soltanto un gesto di bravura che gli assomiglia lontanamente, ma che alla fin fine non ha sostanza e spessore.

Ho avuto la fortuna di ascoltare uno degli ultimi concerti di Michael a San Francisco (lui poi ci lasciò qualche mese più tardi, purtroppo) e poco prima del concerto ebbi un veloce colloquio con lui. Il suo manager mi introdusse come un chitarrista che era in tour con Tim Sparks, quindi avevo una certa credibilità, per entrare nel suo camerino. Ricordo solo il suo sguardo molto intenso e penetrante, quella sera suonò alla grande e sul palco alternava musica strumentale e cantata, ma anche una sorta di recital teatrale con una spada e un manichino.. penso qualcosa di Shakespeare, totally alternative and new!!  Ma avrei troppe cose da dire a proposito, Alex mi ha raccontato parecchio su di lui, molti, in California, dicono che si stava lasciando andare in modo strano, quasi una premonizione quel suo brano: Watching my life go by... 


Riccardo Zappa

Temo di non esser un testimone all’altezza delle aspettative, proprio per l’importanza che Hedges ha avuto nell’ambito chitarristico. Mi spiego: per evitare che il linguaggio di artisti dotati di fortissima personalità contaminasse la mia musica, ho sempre preferito “conoscere” quel poco che basta della loro innovazione, guardandomi bene dal mettere in casa le loro opere. Un simile atteggiamento, che può sembrare al limite del presuntuoso, è in realtà condiviso da molti colleghi, anche loro convinti che sia più proficuo, per un autore, studiare e comprendere il senso generale, totale, della musica, piuttosto che qualche gesto percussivo sulla cassa della chitarra. Così, di Hedges, ricordo benissimo di aver assistito ad un mirabile video dal vivo, ma non saprei citarti neppure il titolo di un suo album, così come accade per quelli di Leo Kottke, del quale, invece, ho assistito ad un paio di memorabili concerti. Vedo nell’opera dei nostri Walter Lupi e Paolo Giordano coloro che meglio hanno saputo trarre ispirazione dall’atteggiamento chitarristico di Hedges. Quanto al percorso della new acoustic guitar, parrebbe, a giudicare dalle abituali rassegne che si svolgono nel nostro Paese, che si proceda speditamente verso un chitarrismo sempre più “spettacolare”, contraddistinto, quindi, da un fortissimo tecnicismo.


Peppino D’Agostino

Il famoso mandolinista Mike Marshall mi aveva fatto sentire “Aerial Boundaries” nel 1986 e ne ero rimasto impressionato. Alcuni anni dopo l’ho incontrato, prima di un suo concerto con Leo Kottke. Ritengo che non abbia avuto una influenza musicale su di me, ma ho apprezzato alcune delle sue innovazioni tecniche. Ho sentito solo alcune delle sue composizioni e l’ho ascoltato un paio di volte dal vivo. L’aspetto più interessante nelle sue composizioni per me era un certo minimalismo associato con una grande energia. L’uso di accordature inusuali mi aveva anche colpito abbastanza. Per quanto riguarda la spettacolarità della sua tecnica penso che fosse al servizio delle sue idee musicali più che per un fatto di scenografia...

Ricordo che avrei dovuto registrare il mio CD “Close to the Heart” nello studio di Hedges, in Mendocino, ma tre giorni prima delle registrazioni il tecnico del suono mi telefonò per cancellare le date, riferendomi che Michael era morto in un incidente d’auto. La cosa mi impressionò moltissimo, come si può immaginare. Ci sono molti chitarristi che si rifanno allo stile di Michael, cito il canadese Don Ross e l’americano Billy Mc Laughlin per esempio. Il futuro della New Acostic Guitar è senz’altro roseo e considerando il numero sempre maggiore di giovani chitarristi che vengono ai miei concerti sono ottimista!


Paolo Giordano

Contrariamente a quel che si può pensare, non mi ha particolarmente influenzato, anche perché, quando ho iniziato le prime sperimentazioni sull’acustica, non lo conoscevo neanche. In quel periodo i miei punti di riferimento erano  Ry Cooder, Leo Kottke, CSN&Y, Jorma Kaukonen, ecc ed iniziavo ad ascoltare Pierre Bensusan. Ciò non toglie, però, che sia stato l’uomo nuovo della chitarra acustica, colui che ha creato un nuovo sound e dato a  questo strumento  un nuovo prestigio. Sicuramente l’aspetto live è stato per Hedges molto importante, perché è  nei concerti  che la magia delle emozioni viaggia attraverso la musica.

E’ vero che era un gran, come si dice, animale da palcoscenico ma, insomma, c’era tanta altra “roba”. Tutti, poi, sanno la grande preparazione musicale che aveva. Ricordo un suo  splendido concerto che vidi al Great American Music Hall (mi sembra si chiamasse così) di San Francisco, insieme a Rob Griffin. Energia pura, gran musica (per tornare al discorso iniziale) ed un suono galattico. Non so se qualcuno possa aver accolto la sua eredità ma, sicuramente, tutti noi chitarristi  acustici abbiamo la responsabilità di continuare a tenere alto il nome di questo strumento, come ha fatto Hedges  in una maniera così  egregia, portandolo davanti ad un pubblico sempre più  vasto.


Walter Lupi

Michael Hedges è stato un innovatore della sei corde, che mi ha aperto una finestra verso nuove prospettive dell’utilizzo della chitarra acustica; dal punto di vista tecnico con l’utilizzo del tapping, da quello compositivo e dell’approccio con il pubblico tramite un vero e proprio show che definirei “dancing on stage”. Mi è stato di grande stimolo, per l’espressività, sviluppare una maggior mobilità durante l’esecuzione dei miei brani. Ho trovato soprattutto interessanti i suoi primi due dischi solisti, poi a mio parere si è perso nella sperimentazione tendendo, inoltre, alla ripetizione di certi cliché. Questo, forse, dato anche da un successo del tutto inaspettato che lo ha costretto a mantenersi “up” rispetto alle richieste delle vendite di dischi. Mentre, forse, aveva bisogno di tempo per metabolizzare bene questa ondata di creatività e successo. Non so, era già all’essenza della composizione, forse è per questo che ha fatto tutto quello che ha fatto. Dopo questo primo periodo, utilizzando altri strumenti, per quanto interessante come ricerca, anche del suono trattato, non raggiunse mai il livello delle prime composizioni.  Quando lo vidi suonare al teatro di Portaromana, qui a Milano, prima di Branduardi, rimasi a bocca aperta. Lo vidi piroettare sul palco e correre fra il pubblico cantando, con una bellissima voce, “Come Together” dei Beattles, con un look a dire poco bizzarro. Scarpe da boxer, fuseaux, e sopra un paio di pantaloncini da corridore, canotta sbracciata e per finire bombetta reggi microfono. Come unico era il suo modo di suonare la chitarra. E un suono spaziale, per le mie orecchie e credo per quelle di tutti, a quell’epoca. Unico e, secondo me, irripetibile, anche se poi la sua tecnica è stata utilizzata e sviluppata all’inverosimile da molti chitarristi un po’ in tutto il mondo. Ma per lui era stata la conseguenza di una ricerca compositiva unica, nata spontaneamente, i temi rarefatti e le armonie di grande effetto, mai leziose o ripetitive: le sue erano, a mio parere, delle composizioni “zen”, essenziali.


Roberto Dalla Vecchia

A metà anni ‘80 un amico mi passa una cassetta e mi dice: “prova ad ascoltare un po’ questo”. La cassetta si intitolava “Aerial Boundaries” ed è stato un fulmine a ciel sereno! Inizialmente quello che maggiormente mi ha impressionato è stato l’aspetto più “pirotecnico” della sua chitarra, sono stato rapito da queste sonorità così nuove, fresche, mai sentite prima. Ben presto però tutto questo è passato in secondo piano, per lasciare il posto semplicemente alla forza della sua musica. Ammiro Hedges più per le sue capacità di compositore, in grado di portarti con apparente semplicità lungo un percorso musicale fatto di tanti colori sonori, tanti stati d’animo. Più nello specifico, mi piace come sviluppa un tema iniziale, rompendo il più delle volte gli schemi classici fatti di tema e risposta. Le sue composizioni sanno fondere così bene una melodia accattivante con uno sviluppo armonico originale, mai scontato. Questi sono stati gli aspetti che ho cercato di assorbire nella mia musica e che mi hanno maggiormente influenzato. Ricordo un lontano concerto di Susan Vega a Milano, come “opening act” sale sul palco a “sorpresa” questo chitarrista sconosciuto ai più. Suona per circa mezz’ora e incanta tutti quanti... è mai successo di andare ad un concerto in cui la “spalla” ti regala molte più emozioni della star di turno? Più che un singolo chitarrista, direi che tante idee tecniche innovative che Hedges ha per primo adottato sullo strumento sono diventate già patrimonio comune di tanti chitarristi acustici a livello internazionale. Questo a testimonianza, se mai ce ne fosse ancora bisogno, della sua importanza fondamentale nello sviluppo delle varie forme espressive della chitarra acustica. Che sta vivendo un periodo d’oro, penso alla popolarità di cui gode oggigiorno, alla qualità delle produzioni di tanti musicisti-chitarristi, alla qualità degli strumenti “sfornati” dai diversi liutai.  Restringendo il campo di valutazione alla sola Italia, non posso non registrare anche una certa difficoltà della New Acoustic Guitar a raggiungere un pubblico sempre più ampio. Il mio intento, come chitarrista, e come tanti amici colleghi, è quello di riuscire a parlare con la mia musica anche ai “non chitarristi” , e penso sia questa la direzione giusta per una NAG viva e vegeta nel futuro.



© Le foto di Michael Hedges provengono dalle copertine dei suoi dischi.

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