PIERRE BENSUSANN

Pochi, pochissimi artisti, al pari di Pierre Bensusan sono in frado di mettere d’accordo tutti: tradizionalisti e sperimentatori, europei e americani, amanti del genere strumentale e chi preferisce il cantato. Il chitarrista parigino piace incondizionatamente a tutti. Sarà anche per questo che è sulle scene da trentacinque anni e continua a raccogliere consensi in tutto il mondo. Tra i primi ad essere messo sotto contratto dalla Favored Acoustic Records di Steve Vai (uno che notoriamente ha l’occhio lungo) ha pubblicato solo tra dischi negli ultimi dieci anni, ma capolavori di livello assoluto. Dopo il plurimpremiato Intuite (2001) e Altiplanos (2005) c’era grossa attesa per l’uscita di Vividly. Noi ce ne siamo occupati diffusamente sul numero 4 di Chitarra Acustica, con una bella recensione di Daniele Bazzani. Ma l’occasione di far quattro chiacchiere con Pierre, in occasione della serata conclusiva de Il Paese a Sei Corde, non ce la siamo fatta scappare. Lidia [Robba, con Domenico Brioschi anima della manifestazione] mi ha detto che parli italiano benissimo, proviamo? [Ridendo] Meglio di no, altrimenti potrebbe essere una delle interviste più brevi della storia: [in italiano] ‘sì, no… buona sera’. Scherzi a parte, sto cercando imparare a dire qualcosa durante i concerti, ma per il momento non vado molto lontano. Partiamo da Vividly, il tuo ultimo disco. Come sempre, nei tuoi lavori si sentono echi di svariate influenze e contaminazioni. Come definiresti la tua musica? Buona musica [sorridendo]? Lo spero proprio. Non penso mai alla musica in categorie, non faccio qualcosa per ottenere un determinato risultato. E’ una cosa di cui non mi preoccupo, di cui non tengo conto. Per me la musica non è definibile a priori dall’esterno, piuttosto caratterizzata da qualcosa che sta dentro, all’interno del pezzo. Con Vividly ho cercato anche di andare un po’ oltre. Non mi sono allontanato dalla mia strada, ma al tempo stesso non volevo fare un altro disco come Intuite o Altiplanos. Preferisco non soffermarmi troppo sulle stesse cose. Quanto è durata la lavorazione di del disco? Ci ho lavorato per quasi due anni senza pause. Anche se alcuni dei pezzi arrivano da più lontano, nel tempo. Come lavori sugli arrangiamenti dei tuoi brani? Mi piace improvvisare molto sulla chitarra. Sono sempre alla ricerca del giusto rapporto tra tecnica, comodità di esecuzione e suono… come posso spiegare… cerco di ottenere sempre il massimo dallo strumento e, allo stesso tempo, di rendere la parte tecnica il più semplice possibile. Per cui lavoro molto sulle diteggiature dei brani. Paradossalmente, una volta fissato il pezzo sullo spartito, cerco di dimenticarlo per poter sperimentare. Alcuni brani di Vividly sono molto recenti per cui, non avendoli suonati spesso dal vivo, non sono ancora stati sottoposti a questo ‘trattamento’ e sono più freschi e spontanei. Poco prima dell’uscita del disco nuovo è stato presentato il cofanetto celebrativo per i tuoi 35 anni di carriera… Certo! E’ stata un’idea del mio manager francese. Ha detto che dovevamo far sapere alla gente che sono in giro ormai da parecchio [sorridendo]. In effetti sono molto fiero di questa operazione, che ha permesso anche di rimettere in catalogo dischi un po’ datati. Ti ha emozionato questa iniziativa? Sul subito mi ha colpito molto l’idea. Poi sono stato riassorbito dal lavoro di Vividly, che all’epoca non era ancora uscito, e mi sono concentrato esclusivamente su quello. Poi il disco è stato pubblicato e avevo un altro ‘bambino’ [in italiano] da seguire. Ora su cosa stai lavorando? Come sempre, sto cercando di migliorare il mio modo di suonare, di improvvisare, di interpretare i miei brani in modo da eseguirli nel miglior modo possibile. Studi ancora molto? Sempre, tutto il tempo! Su cosa ti focalizzi? Essenzialmente sull’armonia e sulla tecnica della mano destra. Perché penso che la mano destra sia la vera origine del suono e sia fondamentale per dare ai brani il giusto colore. Sono anche molto concentrato per tentare di entrare a fondo nei brani, in modo da poter spaziare al massimo sulla tastiera ed essere in grado di ricordare dove ottengo i risultati migliori. In modo da avere la maggior confidenza possibile con la mia musica, soprattutto per quando la eseguo dal vivo. Anche perché i concerti hanno un’intensità tale che difficilmente è riproducibile in altri contesti. Tutto questo penso dia ‘sostanza’ al mio modo di suonare. Come vivi questa ‘intensità’ delle esibizioni dal vivo a solo? Molto bene. Non mi sento mai solo: ho sei corde e un pubblico… è abbastanza. A volte capita di essere un po’ nervosi, ma ho capito che mi basta entrare nella musica per lasciare tutto alle spalle. Se riesco ad ascoltarmi come stanno facendo le persone che ho di fronte, posso dimenticare qualsiasi tensione. Spieghi anche queste cose durante i seminari residenziali, che tieni ogni anno a casa tua? Certo. Tra l’altro è incredibile ma ogni anno c’è sempre qualche italiano che partecipa. Hai molti fan nel nostro paese…
E’ sempre una bella esperienza ricevere, ospitare queste persone a casa mia, e passare tempo assieme. E suonare, suonare, suonare… cerco di trasmettere loro, in questo modo, un approccio alla musica molto semplice e immediato. Permettimi una piccola provocazione: ho visto sul tuo sito che hai una nuova muta di corde signature per la standard tuning… cosa è successo? [ridendo] E’ successo che ho scoperto che un sacco di gente usava le mie corde perché… vanno bene. Ma tutta queste persone spesso suonano anche in accordatura standard, per cui.. perché no? Perché non usare la mia visibilità per promuovere quello che è un ottimo prodotto? Così abbiamo una muta per chi suona in DADGAD e una per tutti gli altri. Tra l’altro il mio amico Roland Gallery sta lavorando alla trascrizione di molti dei miei brani in stantard tuning. E’ una grossa apertura, soprattutto verso l’ambiente della musica classica, in cui molti conoscono il mio lavoro ma non lo affrontano per via dell’accordatura. In questo modo, magari, qualche studente potrà chiedere al proprio insegnante di vedere alcuni di questi brani senza problemi. Ho visto che sul palco hai una nuova chitarra rispetto all’ultima volta che ci siamo incontrati… La mia nuova Lowden Signature! Anche se in effetti sono quasi 3 anni che la uso. E la Kevin Ryan che fine ha fatto? E’ in vendita. Non mi piace tenere troppi strumenti. Si, ho visto il prezzo sul tuo sito… mio Dio… [ridendo della grossa] Be’, non è molto lontano dal prezzo della chitarra nuova. In effetti anche quando guardo il sito della Kevin Ryan il commento è lo stesso: oh mio Dio…
C’è da enere presente anche il costo dell’amplificazione, che al momento è quanto di meglio si possa trovare in circolazione. E poi è stata suonata molto, moltissimo, per 5 anni: ha un timbro magnifico. Le caratteristice della Lowden, invece, quali sono ? Principalemente un suono estremamente chiaro e definito, con una netta separazione tra le note e tra le corde. La profondità della cassa è leggermente maggiorata per compensare lo shape piccolo. Ho deciso per una small jumbo per evitare problemi alla spalla destra e George [Lowden naturalmente] ha fatto questa scelta per ottenere maggiore profondità sui bassi. La cassa è in Palissandro dell’Honduras, mentre la tavola è in Adirondak del Canada, che per me sono una novità come scelta di materiali. Quindi sonorità completamente diverse da esplorare e da imparare a controllare. Cosa hai scelto per l’amplificazione? Monta un Highlander IP1 che miscelo con un microfono AKG davanti alla buca. In passato hai utilizzato un lap top come multieffetto, direi che hai abbandonato quel set up… Assolutamente, mai più. Ora utilizzo di un mixer Soundcraft SI Compact 16, completamente programmabile, con effetti della Lexicon integrati.

Commenti