Intervista del 2012 pubblicata su Chitarra Acustica lo stesso anno
Probabilmente, nel 1882, quando ha avviato il suo laboratorio di liuteria, José Ramirez sperava di avere un buon successo, ma difficilmente immaginava che il suo sarebbe diventato un marchio conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Men che meno poteva anche solo immaginare che a guidare l’impresa di famiglia, gelosamente tramandata da padre in figlio per quattro generazioni, ora c’è una donna. Ma grazie a Dio i tempi cambiano e personaggi come Amalia, oltre a essere una boccata di ossigeno per quello che a volte rischia concretamente di diventare un ambiente un po’ troppo autoreferenziale, fanno ben sperare per il futuro. Una donna con i piedi ben piantati nella tradizione, ma che vive con consapevolezza il presente e, soprattutto, il futuro prossimo in continuo divenire. Abbiamo parlato di questo, e di molto altro, in occasione del 130° anniversario dell’azienda spagnola.
Non deve essere facile raccogliere il testimone di un’azienda con 130 anni di storia. Vuoi raccontarci un po’ la ‘tua’ storia all’interno dell’impresa di famiglia?
Io sono cresciuta con il profumo del legno e della colla calda. Ascoltando grandi artisti suonare la chitarra quando venivano a trovarci a casa. Sentendo mio padre che parlava ogni giorno del suo tema favorito: la chitarra. Sempre la chitarra. Era inevitabile che fossi affascinata da questo strumento e a tutto ciò che gli gravita intorno. All’inizio, la sfida più grande è stata prendere in mano un’azienda che era stata fino ad allora gestita e portata avanti da soli uomini e la cui denominazione commerciale è maschile. Ovviamente non era previsto che fossi io colei che avrebbe portato avanti una tradizione familiare fino a quel momento tramandata da padre in figlio. E mai alle figlie. Tuttavia, e probabilmente per l’attrazione che generano le cose proibite, sommate a questa eredità che dopo quattro generazioni possiamo tranquillamente dire genetica, mi sono decisa a produrre chitarre. Con il permesso e l’approvazione di mio padre sono entrata nel laboratorio di liuteria per imparare il mestiere. Dopo alcuni anni me ne sono andata, per poi tornare in seguito per aiutare mio fratello nella gestione dell’azienda, quando mio padre si era ammalato da alcuni anni e ci ha passato il testimone. Anche se è rimasto sempre vicino all’azienda, fino ai suoi ultimi giorni, per sapere come progrediva e andavano le cose. Lui è stato il mio maestro, in tutti gli aspetti della vita, non solo quelli lavorativi. Dopo alcuni anni, a seguito della scomparsa di mio fratello, una persona meravigliosa che mi ha accompagnato nella vita e di cui sento la mancanza ogni giorno, ho deciso di portare avanti in prima persona l’attività del laboratorio, dell’azienda e del negozio. E’ stata una decisione spontanea, che ho preso con entusiasmo, potendo contare anche su un grande team di lavoro formato da eccellenti professionisti. Fattore che è stato fondamentale per poter arrivare alla posizione che abbiamo oggi, e la speranza è di poter continuare su questo cammino per tanti anni, in quanto i miei nipoti, Cristina e Enrique, sono anche loro parte dell’azienda e si stanno facendo le ossa imparando a portare avanti il tutto con lo stesso entusiasmo e voglia dei loro illustri predecessori.
Non è possibile ripercorrere in poche righe la storia una storia come quella della vostra famiglia, ma qualche tuo ricordo sui grandi personaggi che ne hanno segnato la crescita?
In effetti ho avuto l’onore di poter ascoltare nell’ambiente familiare chitarristi del calibro di Andrés Segovia, Víctor Monge Serranito, Narciso Yepes, Christopher Parkening, Paco de Lucía, Manolo Sanlúcar, Liona Boyd, Paco Cepero e a molti altri che in questo momento non mi vengono in mente, tra i quali c’erano artisti meno conosciuti, ma dotati di una grandissima abilità. Ricevevamo spesso visite di personaggi come Lucho Gatica, che era un ottimo amico dei miei genitori, e di Ivor Mairants, che è stato il nostro rappresentante in Inghilterra per molti anni, fino a quando smise di lavorare, e che veniva spesso a trovarci e ci raccontava aneddoti affascinanti, come la visit di Paul McCartney nel suo negozio per comprare una chitarra Ramirez da concerto. Al negozio ci venivano a trovare personaggi differenti e diversi tra loro, da Jorge Cafrune fino a Neil Diamond, ed era molto divertente.
Probabilmente te lo avranno già chiesto troppe volte, ma ci son davvero pochissime donne che rivestono un ruolo come il tuo. Come vivi questa situazione?
Questa situazione la vivo molto bene. Mi piace molto. Fin dall’inizio, ho potuto far affidamento sull’appoggio di tutti i nostri distributori, molti dei quali erano per me quasi di famiglia, conoscendoli da quando avevo lavorato con mio fratello. Alcuni fin dalla mia infanzia, come Shiro Arai, nostro distributore in Giappone da 50 anni. All’inizio, dopo la morte di mio fratello, i commessi del negozio mi hanno raccontato di un paio di clienti che volevano comprare le chitarre, ma non accettavano il fatto che fossero firmate da una donna. Cosi sono rimasti senza strumento. Per fortuna episodi cosi non si sono più ripetuti. Addirittura ricevo molte lettere ed e mail di persone che mi spronano ad andare avanti e mi ringraziano di portare avanti la tradizione familiare in azienda. Oggi l’azienda la gestisco con la preziosa collaborazione di altre due donne: Marisa e Arancha, oltre a mia nipote Cristina. Formiamo il team che partecipa alle fiere e, nello stand che porta il nome di José Ramirez, non c’è nessun uomo, e mi risulta che, nonostante la maggior parte delle persone che incontriamo alla fiera abbia un ottimo rapporto con noi, a volte alcuni, pochi a dire il vero, siano un po’ in difficoltà a dover trattare e negoziare con donne, pratica non comune per loro. Tuttavia, tutte le riunioni si svolgono nella maggior cordialità possibile.
La riapertura del workshop e il riavvicinamento alla dimensione più artigianale della produzione è stata una tua precisa scelta. Cosa ti ha spinto in quella direzione?
Il nostro laboratorio è sempre stato artigianale. Durante gli anni ‘70 mio padre, per poter far fronte all’enorme richiesta delle nostre chitarre, ha deciso di spostare il laboratorio in un complesso più grande, dove ha insegnato a molti ragazzi giovani, che si sono specializzati insieme a lui fin fin dall’inizio. Paulino Bernabè e Manuel Contreras, tra i molti affermati liutai che sono usciti dal nostro laboratorio. Ogni liutaio produceva il suo strumento completamente, dalla A alla Z, e alla fine mio padre lo ricontrollava prima di consegnarlo al cliente finale. In quel tempo si è sparsa la voce che la produzione era passata da artigianale a industriale, ma era falso, in quanto l’unico cambiamento significativo era rappresentato dal fatto che lavorassero più liutai alla produzione rispetto al passato. Ciononostante, mio fratello e io abbiamo deciso di riportare tutto a una dimensione più ridotta, quando sono rientrata in azienda nel’88. Io ho continuato poi su questa linea, sono convinta che sia molto più gestibile una dimensione artigianale ridotta. Mi trovo a mio agio con un laboratorio ridotto, in quanto tutti gli sforzi sono concentrati per rispettare l’altra qualità dei prodotti, e mi piace molto l’ambiente familiare che c’è in azienda.
Allo stesso tempo, sei molto attenta e presente in fase di ricerca e sviluppo, oltre ad aver disegnato personalmente parecchi dei modelli di maggior successo degli ultimi anni…
Si. Mio padre diceva sempre che io avevo uno spirito inquieto e penso avesse ragione. Mi piace ricercare, crescere, cambiare, però sempre rispettando la tradizione e quello che so che funziona bene. Ho preso come modello la chitarra base sviluppata da mio padre e ho realizzato tutti i miei esperimenti prendendo spunto da quella. In questo momento sto lavorando con il nomex, materiale scoperto dal liutaio tedesco Gernot Wagner, per costruire uno strato doppio, che permette produrre un suono più potente, e lo sto applicando in diverse modalità, ottenendo risultati molto interessanti. Inoltre ho appena presentato un nuovo modello, che in realtà è antico, in quanto è basato sulle chitarre costruite dai miei predecessori, realizzate al principio del XX secolo. Si tratta della chitarra che ho denominato Antigua, in risposta alla domanda di molti chitarristi che preferiscono e ricercano un suono antico, completamente distinto alla chitarra Tradicioal.
Altre innovazioni che ho apportato si rivolgono maggiormente all’estetica, in quanto credo che sia importante fornire anche un qualcosa che produca pioacere alla vista, e non solamente all’ascolto. Per questo considero che la chitarra sia un insieme di bellezza e sensualità, per la sua forma, il suo profumo, al tatto, perché ci connette direttamente con la nostra parte spirituale e alimenta l’anima
Puoi darci qualche anticipazione sulle celebrazioni in programma per il 130esimo anno di attività?
Non penso organizzare nessun programma speciale per il 130° anniversario dell’azienda. Abbiamo già festeggiato per l’anniversario dei 125 anni e credo sia sufficiente. Per questo 130° anniversario, quello che ho prodotto è qualcosa di molto semplice, ovvero una nuova chitarra da studio, il modello 130 Anos, che sará una serie limitata che si produrrà solo per 5 anni. Per questo modello ho scelto il fiore del ciliegio per il mosaico della rosetta, dedicandola alla rinascita del Giappone dopo il terribile tsunami che li ha colpiti insieme al disastro nucleare del marzo del 2011. Considerata la splendida relazione che il Giappone ha avuto e mantenuto nel tempo con la mia azienda durante gli ultimi 50 anni, mi sono sentita profondamente scossa da quanto avvenuto e per questo motivo ho deciso dedicare loro questo riconoscimento. Il modello 130 Anos sostituisce il modello precedene 125 Anos, anch’esso un modello di edizione limitata di 5 anni, e che ha avuto un grande successo per aver combinato al meglio la sua estetica con l’ottimo suono prodotto.
Come vedi la situazione del mercato in questo periodo di crisi sempre più stringente?
Penso che stiamo attraversando un deserto, però come tutti i tragitti, è temporaneo. Esiste una maledizione cinese che dice: “Ti auguro di nascere in tempi interessanti”. In effetti, ci troviamo in un’epoca interessante, senza dubbio. Penso che si sta rompendo un sistema che non serviva piú e che ne stia nascendo uno nuovo, una nuova economia e una nuova maniera di considerare la vita. Quindi, quello che dobbiamo fare è adattarci, improvvisare, pianificare per quanto possibile con l’idea in testa che se dobbiamo cambiare, cambieremo. Penso che questa sia un elemento chiave, che spiega come la nostra azienda sia riuscita a sopravvivere a molte situazioni difficili nel corso dei 130 anni della sua storia. E siamo ancora qui. Se riuscirò a ripetere questa esperienza, allora penso che riusciremo ad avere chitarre Ramirez ancora per tanto tempo. Speriamo di poter aver l’ispirazione necessaria per poterlo ottenere. Sono ottimista.
Cominciate a risentire della difficoltà di reperimento di materiali di qualità e delle restrizioni imposte in molti paesi?
In questo momento abbiamo molta materia prima nei nostri magazzini. Mio padre stesso aveva comprato molto legno, quindi ritengo che, con la nostra produzione limitata, avremo materia prima sufficiente per molti anni. Nel frattempo qualche novità arriverà. Credo che queste situazioni rappresentio una sfida, che ci spinge a sviluppare ancor di piú l’immaginazione, a crescere e maturare. Sicuramente qualcuno troverà una soluzione, o qualche novità ci permetterà proseguire.
Una azienda storicamente legata alla tradizione come vive ai tempi di Internet e dei social network? Che rapporto avete con le nuove tecnologie?
Un ottimo rapporto. Soprattutto perché mia nipote Cristina è molto preparata per tutto questo. Lei è la responsabile del nostro facebook e del blog, aggiorna il sito web, e ho piena fiducia nel suo lavoro. Inoltre qualche anno fa, abbiamo introdotto la prima chitarra acustica Midi. Adesso siamo in un periodo di transizione, in attesa di sviluppare un nuovo sistema midi che apporti la qualità di cui abbiamo bisogno.
Quali saranno i vostri prossimi progetti? Verso cosa sta andando Ramirez all’alba del terzo millennio?
Sto lavorando su una nuova chitarra Auditorio che credo funzionerà molto bene. Ovviamente stando sempre immersa nella ricerca, sembra che la mia mente sia programmata per funzionare a livello subconscio, senza rendermene conto. Così, di improvviso, e nei momento più insospettabili, genero idee: alcune ‘pazze’, altre interessanti, e cerco di porle in pratica prima possibile. È molto difficile il terreno della ricerca, in quanto ogni prova ha bisogno di 4 mesi per verificare il risultato. Pero è molto stimolante.
Stiamo anche cercando di aiutare i chitarristi e tutto ciò che gravita intorno alla diffusione della chitarra. Da 4 anni realizziamo un incontro mensile in negozio, riprendendo la vecchia tradizione delle riunioni che si tenevano nei laboratori di chitarre alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo. Ai nostri incontri partecipano chitarristi, alcuni già affermati, altri studenti o concertisti che stanno iniziando ad aprirsi la strada, sempre artisti di qualità riconosciuta. Vengono e suonano per un auditorio scelto e ridotto, in quanto il negozio è piccolo e coloro che vogliono assistere devono prenotare per il posto a sedere. Vengono anche a presentare un disco, un libro o per parlare della storia della chitarra, o per un recital di poesia con accompagnamento di chitarra.
Riteniamo che la cultura debba ripensare il termine ‘gratis’. È un dovere di tutti proteggere e portare avanti questo bene dell’umanita, questo lavoro che si realizza. In questo caso si tratta di un chitarrista, per condividerlo con noi, offrendoci il suo tempo e la sua dedicazione. È bello che il pubblico possa apprezzare la musica, affinchè continui ad esistere, evolvendo e per darci maggior qualità. La cultura è importante perché ci rende umani, ci avvicina a noi stessi, con sentimenti e emozioni, ci fa immaginare, sognare, e ci distoglie dalla routine... quante volte una canzone si è trasformata nella colonna sonora di un momento determinato della nostra vita?
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