JACQUES STOTZEM

Intervista del 2010 pubblicata su Chitarre L’aspetto da ragazzone cresciuto troppo in fretta non deve trarre in inganno. Jacques Stotzem è stato il primo artista della Acoustic Records a portare un disco di sola chitarra acustica nella top ten del suo paese d’origine, il Belgio. Imbracciato lo strumento, si trasforma in un’autentica macchina da ‘groove’, capace di interpretare in maniera convincente Hendrix, SVR o gli U2. Da solo. Lo abbiamo incontrato a Pettenasco nel corso della manifestazione Un Paese a Sei Corde, in compagnia di Geraldine Jonet, una cantante giovanissima e incredibilmente brava con cui sta lavorando a un nuovo progetto. Quando ci siamo visti a Vicenza, l’anno scorso, ‘Catch The Spirit’, il tuo ultimo disco, era appena entrato in classifica in Belgio. Com’è andata poi? Bene, molto bene. Se non ricordo male, all’epoca era la prima o la seconda settimana che il disco era in top ten. Ci è rimasto per 42 settimane. E’ stata una vera sorpresa. Immagino che Peter Finger [direttore dell’etichetta che ha pubblicato il disco] sia stato molto contento... Assolutamente. E’ la prima volta nella storia della casa discografica che un disco di sola chitarra acustica entra in classifica. Non so se sia mai successa una cosa simile, nel resto del mondo. Ora stai lavorando a un disco nuovo con Geraldine Jonet? Sì, stiamo preparando qualcosa assieme. L’idea di base è considerare la voce come un secondo strumento, che deve dialogare con la chitarra, senza relegarla al solo ruolo di supporto. Il progetto si dovrebbe articolare su una parte solo strumentale e una parte di cover, pop e rock, cantate. Si può considerare un ideale proseguimento di ‘Catch The Spirit’. Gli artisti a cui ci ispiriamo sono sempre gli stessi. Quindi , come state lavorando sugli arrangiamenti? E’ un processo molto complesso. Quando ti confronti con musicisti del calibro di Jimi Hendrix o SVR è assolutamente necessario riuscire a restituire la stessa carica, la stessa energia che ha il brano in origine brano. Ad esempio stiamo lavorando su Little Wing, che è una ballad, dando una diversa chiave di interpretazione del pezzo, unendo voce e chitarra su un’idea un po’ diversa. Non vogliamo fare la solita cosa già (stra)sentita e quindi ci stiamo mettendo un sacco di tempo. Immagino che il punto focale sia una grande attenzione alle dinamiche. Certo, naturalmente. Dobbiamo lavorare principalmente sulla dinamica. E’ anche per quello che mi piace tanto affrontare il repertorio dei chitarristi elettrici. E’ una bella sfida riuscire a trasferire il giusto groove sull’acustica. Come sempre stai lavorando esclusivamente in accordatura standard? Utilizzo anche la Dropped D in alcuni brani. Del resto, quando suoni in Re sulla chitarra, ti scontri inevitabilmente con il limite strutturale dello strumento, che al massimo permette un basso in Fa#. Può anche andare bene, ma se c’è la necessità di avere un bordone bello presente, è l’unica soluzione. Per la verità, in Catch The Spirit ci sono due arrangiamenti in DADGAD, i brani di Sting e dei Radiohead. Ci sono delle innegabili assonanze tra un certo pop inglese e la musica folk irlandese. E alla fine funzionano davvero bene. Ci sarà anche materiale originale sul prossimo disco? Assolutamente. Ti confesserò che la mia idea sarebbe addirittura fare un Cd doppio, con un disco di mie composizioni e uno di arrangiamenti. Avrei anche in mente il titolo ‘Two World’, vedremo... Uscirà sempre per la Acoustic Records? Ormai sono 15 anni che lavoro con Peter Finger. Sono stato uno dei primi artisti che ha messo sotto contratto.
Vogliamo parlare un po’ della chitarra signature che la Martin ha realizzato per te? E’ stato a dir poco un evento, per me, ricevere la proposta dalla casa americana. Sono rimasto letteralmente senza parole. Davvero, un sogno che si è realizzato. Ho sempre suonato molti strumenti diversi, ma nel mio cuore c’è sempre stato un posto, molto grande, per la Martin. Tutti amano Martin... Non so se sia proprio vero. Sono chitarre con un sound particolare. E’ il suono delle radici, del folk e del blues rurale americani. Se ti piace quel genere di musica, allora non puoi fare a meno di amare Martin. La mia signature è stata realizzata sul livello qualitativo della serie 45, ma ho chiesto espressamente di non avere decorazioni di nessun tipo. In sostanza una OM 45 assolutamente senza madreperla. Sono europeo e i miei gusti vanno di conseguenza. Le finiture della serie 45 per me sono un po’ troppo. Si sono limitati ad un leggero binding. Ma la qualità dei legni è ai massimi livelli. Martin classifica il livello dei materiali in 8 livelli, dal basso verso l’alto, a seconda della fascia di destinazione dello strumento su cui vengono utilizzati. Per la mia, Palissandro e Abete sono di livello 7 e 8. Il bracing all’interno è alleggerito. L’unica differenza sostanziale da un modello di serie sono la forma e le dimensioni del manico. Ho voluto un neck low profile con il nut da 43, perché ho le mani abbastanza piccole. Devo dire che hanno lavorato in maniera perfetta. Quando realizza un modello signature, Martin dopo aver raccolto le specifiche, manda all’artista la n° 1, il prototipo, per fare una verifica e segnalare gli eventuali problemi, prima di iniziare la produzione in serie. Be’, sto ancora utilizzando quella!
So che sei legato a Fishmann da un rapporto di collaborazione di vecchia data. Che sistema stai utilizzando attualmente? Sono più di 15 anni che lavoro con loro. Ho fatto montare su questa chitarra l’Elipse Blend. Si tratta di un sistema molto semplice, con un piccolo pre con i controlli on board che viene fissato all’interno della buca. In questo modo non ci sono modifiche permanenti da fare sullo strumento. Permette di pilotare il piezo sotto sella e il microfono montato all’interno della cassa e miscelare i due suoni. Esco mono, direttamente in un amplificatore, sempre della Fishmann, con cui regolo l’equalizzazione e aggiungo il riverbero. Poi vado in diretta sull’impianto dal line out. Quando si viaggia tanto come faccio io, è assolutamente necessario avere un sistema, molto semplice ed estremamente affidabile, che garantisca una ottima resa. Di base deve piacere come rende questo tipo di amplificazione, perché in fase di regolazione non è possibile stravolgere il suono, quindi arriva quasi ‘finito’ dalla fonte. Personalmente, di solito mi ritrovo ad avere tutto flat, o quasi. Hai provato a sperimentare il sistema Aura? Non dal vivo, ma l’ho utilizzato molto in sala di registrazione. Trovo che sia davvero interessante. C’è una gran varietà di ‘modelli’ e di suoni di altissima qualità. Spesso, e l’ho fatto anche registrando ‘Catch The Spirit’, miscelo il suono della chitarra ripreso dai microfoni con il segnale del pick up ‘modellato’. Si ottengono risultati davvero sorprendenti. Per quanto si avvicinino al suono della chitarra ripreso da un microfono... non è proprio la stessa cosa. Per contro, con i microfoni di alta qualità ci sono moltissime variabili che possono influenzare la resa finale, anche in maniera sostanziale. In questo modo riesco davvero ad avere il risultato migliore delle due cose assieme.

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