Questa intervista a John Renbourn risale al 2007 edè stata pubblicata sul mensile Chitarre lo stesso anno
John Renbourn è imprescindibile dalla storia della chitarra acustica. La sua voce unica, il tocco pulito, inconfondibile, sulla chitarra hanno caratterizzato la grande onda del folk revival inglese degli anni ’60 e ’70. Tra i fondatori, nel ’68 con Bert Jansch, dei Pentangle, ha messo la sua firma su pagine fondamentali della storia della musica contemporanea. Questo colosso, in tutti i sensi, della musica inglese, anche se è classe ’44 da quasi vent’anni propone un’intensa attività concertistica, pur avendo diradato notevolmente la produzione in studio. Considerato a tutti gli effetti il vero re, l’alfiere della musica celtica nel mondo, Renbourn è estroso, estroverso ed eclettico. Negli ultimi anni si è riavvicinato molto al jazz e alle sue radici molto blues. Basta comunque dare un’occhiata alla sua immensa discografia per rendersi conto che, per sviscerare un personaggio del genere, non sarebbero sufficienti le pagine di tutta la rivista. Lo abbiamo incontrato a Novara, nell’ambito della bella rassegna “Chitarra e Autore” del Piccolo Coccia, manifestazione coordinata in maniera impeccabile ed esemplare da Stefano Caltagirone, musicista e grande appassionato di chitarra acustica. John è di una simpatia contagiosa e irrefrenabile. Solare e affascinante, a modo suo, sempre disponibile, con il sorriso sulle labbra. Rilassato, sembra a suo agio con tutti, scherza con i fonici di sala e si toglie le scarpe sul palco. Assistendo al rapido sound check, prima di avere occasione di fare quattro chiacchiere, ci si rende conto, comunque, che il chitarrista scozzese sarà anche in età da pensione, ma sul palco non scherza affatto. Come il vino buono, anche se nel suo caso sarebbe più corretto l’accostamento al whisky, è maturato e migliorato negli anni, acquistando corpo e sostanza. In venti minuti esatti sfodera un suono spettacolare e dimostra che, con la chitarra in mano, di cose da dire ne ha ancora, eccome. Un vero animale da palcoscenico, con un microfono davanti è a suo agio come nel salotto di casa. E si diverte anche parecchio, coinvolgendo senza problemi vecchie e nuove generazioni di appassionati. Ma prima del concerto serale, che confermerà in tutto e per tutto le impressioni del pomeriggio, c’è tempo per scambiare qualche parola. Non è la prima data di questo mini tour in Italia, vero? Sono già stato vicino a Udine, a Tavagnaco, poi sopra Bergamo, a Bianzano, per l’inaugurazione del nuovo Folk Club. Sono presidente onorario di quello di Bergamo e mi hanno voluto anche per la festa per il nuovo locale. Dopo Novara ci sarà la tappa al Folk Club di Torino e poi si chiude a Bibiena di Mantova. Sempre in giro per il mondo, non sei ancora stanco di questa vita? [Ridendo] Oh sì, sono molto, molto stanco. Sono stanco di questa follia. Già parecchio tempo fa avevo deciso di smettere di viaggiare, assolutamente. Ma poi va sempre a finire che infrango questa regola, c’è tanta gente che mi chiede ancora di andare a suonare e non sono mai capace di dire di no! Beh, questa volta c’è comunque, e finalmente, il nuovo disco da presentare… E in fondo, ci sono voluti solo quasi vent’anni [sempre ridendo]. L’ho presa da lontano. E ci ho lavorato tantissimo, ho continuato a tornare il sala d’incisione per modificare, e rifare, e modificare e così alla fine non era pronto al momento di partire. Un vero disastro. Ma ci puoi dare qualche anticipazione su come sarà questo Cd? Sicuramente non sarà un disco di brani per chitarra. E’ già molto tempo che mi muovo in questa direzione, cerco di comporre musica, non pezzi per chitarra. Anche se poi è quello che continuano a chiedermi. Così ho detto, va bene, ok, ma è l’ultima volta. Ma sono brani che avevo già composto, sulla carta, e che ho dovuto, letteralmente, trasporre sulla chitarra. Sembra una pazzia, ma è andata esattamente così. Cosa ci dobbiamo aspettare? Ci sono diversi brani molto romantici, che escono dall’abituale contesto armonico della musicalità celtica. Sono abbastanza inusuali per il mio modo di suonare, e di essere. Ma, del resto, non ho nessun controllo su quello che scrivo e su quello che mi viene da suonare. Preso da questo romantic mood ho poi arrangiato alcuni brani del musicista francese Eric Satie. Ci sono anche alcuni arrangiamenti dei lavori di Jerry Roll Morton, il pianista americano che viene considerato uno dei padri del ragtime. Come lavori sugli arrangiamenti? Affronti prima la melodia o il contesto armonico? Dipende. Anzi, non ne ho assolutamente idea. Mi limito a vedere cosa succede mentre suono. A volte sorprende anche me. Quando lavoro sui brani altri compositori, come nel caso di Satie, cerco soprattutto di conservarne lo spirito originale del pezzo, sia pur con i limiti espressivi della chitarra, adattandolo senza stravolgerlo completamente. Personalmente ritengo sia un gran periodo per la chitarra acustica. Cosa ne pensi? Si, in effetti me lo sento ripetere da tutte le parti, per cui penso che sia vero. Mi pare si siano moltiplicate le manifestazioni in cui si può suonare e c’è tanta gente in giro che fa ottima musica… Ci pensavo proprio in questi giorni, la nuova generazione di musicisti che sta emergendo ha davvero tante possibilità, in questo senso. E c’è gente in giro che suona della gran musica, anche se non tutti sono proprio dei ragazzini. Anzi, in alcuni casi si tratta di musicisti completi e maturi. C’è stato un grosso risveglio, un rinnovato interesse per sia per la tecnica che per il feel della musica acustica. E cosa ne pensi delle nuove tecniche applicate alla chitarra acustica? Mi riferisco a tapping, percussioni e via discorrendo… C’è stato un grosso salto qualitativo, indubbiamente. Quando sento gente come Clive Carroll, lo conosci? Sì, l’ho visto qualche mese fa al Festival di Sarzana. Suona in un modo assolutamente eccezionale, non ho mai sentito niente di simile, prima d’ora. Non c’è il rischio che tutta questa tecnica vada a discapito della qualità della proposta musicale? Ovviamente non mi sto riferendo a Carroll, ma non è che a volte si cerca di mascherare una certa povertà di idee? Questo è un problema che capita un po’ con tutti gli strumenti. Ci sono sempre musicisti che si dedicano, anima e corpo, a portare a livelli estremi le proprie capacità tecniche. E’ ovvio che sarebbe meglio se questo apporto servisse a migliorare l’espressività dello strumento, ampliandone le potenzialità, contribuisse alla sua evoluzione. Certo, quando tecnica ed espressività vanno a braccetto è semplicemente fantastico. Un ragazzo eccezionale, in questo senso, è Tony McManuss. Che non è arrivato alla chitarra attraverso un percorso tradizionale, ascoltando i fingerpickers americani o i chitarristi folk scozzesi, ma è partito dalla musica folk suonata con flauto, violino e cornamusa e ha trasportato tutto questo sulla chitarra. E’ semplicemente stupefacente. La tua dimensione live, solo voce e chitarra è molto impegnativa, forse la più difficile da affrontare. Non hai mai la nostalgia di un gruppo alle spalle? La verità è che ritengo che suonare da soli sia molto più semplice, molto più facile che con una band. Almeno non c’è bisogno di una laurea in psichiatria. Penso che non ci sia niente di peggio che essere il leader di una band. Mi diverto molto a suonare con altri musicisti, ma preferisco potermi gestire senza dipendere da nessuno. Ti emoziona ancora suonare la chitarra? Mi emoziona ogni genere di musica, la chitarra ovviamente ne è una parte fondamentale. Io suono la chitarra e quindi mi piace molto. Ma sono diventato chitarrista solo per motivi economici: quando ho iniziato ero povero in canna ed era la cosa più a buon mercato che ho trovato, 5 sterline se non ricordo male. Così sono diventato un chitarrista, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altro strumento, perché in fondo quello che mi interessa è la musica. Ma, artisticamente, a che punto ti senti di essere arrivato? Non ho mai avuto nessuna ambizione di essere considerato un mostro sacro o qualcosa del genere. Per dirla tutta, non ho mai avuto ambizioni di nessun genere. Ho avuto la grossa fortuna di fare un genere di vita che mi porta ad incontrare tanta gente che apprezza quello che faccio, in ogni angolo del mondo, ed è la cosa più bella che mi possa capitare. Dedichi ancora molto tempo allo studio dello strumento? Sì, per forza di cose. Da parecchi anni insegno al Darlington College of Arts e all’università di Exeter, vicino a New Castle, e mi devo tenere aggiornato. A parte il famoso disco, a cosa stai lavorando in questo periodo? Ho appena finito di registrare alcuni brani per la colonna sonora di un film, ed è stata la mia prima esperienza in questo campo. La pellicola si intitola “Driving Lessons” e tra i protagonisti c’è Rupert Grint, uno dei ragazzi della saga di Herry Potter [si tratta dell’attore che interpreta il rosso Weasley, l’amico per la pelle del maghetto più famoso del mondo. Il film è uscito in Italia a novembre 2006, per la verità un po’ sottotono, con il titolo “In viaggio con Evie” N.d.A]. Quindi sono diventato anche un compositore di colonne sonore. Poi, per dar seguito alle richieste della nostra casa discografica, stiamo parlando di fare, a breve, qualcosa con i Pentangle. Sembra che questa volta siamo tutti d’accordo che si possa suonare ancora assieme. Il grosso problema sarà vedere se e cosa ci ricordiamo dei nostri pezzi [continuando a ridacchiare, cosa che per altro non ha mai smesso di fare praticamente per tutta l’intervista]. A breve dovrebbe uscire anche un nuovo disco. Fantastico, è grande notizia per tutti i vostri fans! Non lo so, probabilmente. Speriamo che sia anche fantastico ascoltarci di nuovo. Che genere di musica ascolti, abitualmente? Ascolto tantissime cose diverse, che in buona parte sono anche di amici, gente che conosco. In particolare amo Jimmy Martin, un cantante blue grass che suona in autentico stile hill bill. Che è probabilmente l’esatto opposto di quello che di solito ci si aspetta che io ascolti. Mi piacciono poi molto i vecchi chitarristi blues, come T-Bone Walker, tutto il blues delle radici e la musica tradizionale americana in generale. Ultimamente mi sono appassionato ai lavori di David Soldier, un compositore americano che è assolutamente fuori da ogni schema. Ha scritto dei brani per l’orchestra tailandese di… elefanti. Rido, ma non sto scherzando. Esiste veramente, è da sentire, io non ci potevo credere. E’ assolutamente assurdo, ma assolutamente vero. Siamo anche oltre la follia di Pascale Comelade, che ha registrato dei dischi con strumenti giocattolo per bambini… Non lo conosco, ma lo cercherò. E’ molto probabile che mi piaccia. Per restare in tema un altro artista assolutamente incredibile è Ljubo Majstorovic. Suona la chitarra elettrica con una tecnica veramente particolare: sfrutta l’elasticità del manico, tirando e spingendo con la mano destra, per ottenere sonorità microtonali. Sono aree di sperimentazione che mi interessano moltissimo. C’è qualche chitarrista italiano che conosci? Ho suonato spesso al Folk Studio, in Roma, e ne ho conosciuti e apprezzati molti. Se non ricordo male, ci ho anche registrato un disco dal vivo [Chitarre n.xxx]. E poi c’è quel ragazzo siciliano, Reno Brandoni, che mi piace molto. Che chitarra stai usando, in questo periodo? Sto utilizzando uno splendido strumento costruito da Nick Kukich della Franklin Guitar, veramente eccellente. Guarda caso la stessa che usa in questo periodo Brandoni… Sì, ma la sua mi pare che sia già della serie nuova. Anche Grossman le usa, sono strumenti semplicemente eccezionali. La mia, purtroppo, è una chitarra sfortunata, tutte le volte che la prendo in mano ci faccio un danno. Così quando è stato il momento di partire per questo tour ho preso il telefono e ho chiamato Ralph Bown, un liutaio inglese con cui collaboro da anni e gli ho chiesto se poteva darmi una chitarra. Ma non ho avuto molta scelta, ne aveva in casa solo una in casa, che aveva appena terminato. Però mi è andata bene, suona davvero alla grande. E’ amplificata con un Fishmann Rare Heart, se ho visto bene? Sì, anche se il mio è ancora un prototipo del progettista, che poi ne ha ceduto i copyright alla Fishmann. Per cui è probabile che quelli di serie suonino anche meglio del mio. Un’ultima cosa, ho visto che hai delle unghie pazzesche, sono sintetiche? Lo spero bene! [ennesima, grossa risata].
John Renbourn è imprescindibile dalla storia della chitarra acustica. La sua voce unica, il tocco pulito, inconfondibile, sulla chitarra hanno caratterizzato la grande onda del folk revival inglese degli anni ’60 e ’70. Tra i fondatori, nel ’68 con Bert Jansch, dei Pentangle, ha messo la sua firma su pagine fondamentali della storia della musica contemporanea. Questo colosso, in tutti i sensi, della musica inglese, anche se è classe ’44 da quasi vent’anni propone un’intensa attività concertistica, pur avendo diradato notevolmente la produzione in studio. Considerato a tutti gli effetti il vero re, l’alfiere della musica celtica nel mondo, Renbourn è estroso, estroverso ed eclettico. Negli ultimi anni si è riavvicinato molto al jazz e alle sue radici molto blues. Basta comunque dare un’occhiata alla sua immensa discografia per rendersi conto che, per sviscerare un personaggio del genere, non sarebbero sufficienti le pagine di tutta la rivista. Lo abbiamo incontrato a Novara, nell’ambito della bella rassegna “Chitarra e Autore” del Piccolo Coccia, manifestazione coordinata in maniera impeccabile ed esemplare da Stefano Caltagirone, musicista e grande appassionato di chitarra acustica. John è di una simpatia contagiosa e irrefrenabile. Solare e affascinante, a modo suo, sempre disponibile, con il sorriso sulle labbra. Rilassato, sembra a suo agio con tutti, scherza con i fonici di sala e si toglie le scarpe sul palco. Assistendo al rapido sound check, prima di avere occasione di fare quattro chiacchiere, ci si rende conto, comunque, che il chitarrista scozzese sarà anche in età da pensione, ma sul palco non scherza affatto. Come il vino buono, anche se nel suo caso sarebbe più corretto l’accostamento al whisky, è maturato e migliorato negli anni, acquistando corpo e sostanza. In venti minuti esatti sfodera un suono spettacolare e dimostra che, con la chitarra in mano, di cose da dire ne ha ancora, eccome. Un vero animale da palcoscenico, con un microfono davanti è a suo agio come nel salotto di casa. E si diverte anche parecchio, coinvolgendo senza problemi vecchie e nuove generazioni di appassionati. Ma prima del concerto serale, che confermerà in tutto e per tutto le impressioni del pomeriggio, c’è tempo per scambiare qualche parola. Non è la prima data di questo mini tour in Italia, vero? Sono già stato vicino a Udine, a Tavagnaco, poi sopra Bergamo, a Bianzano, per l’inaugurazione del nuovo Folk Club. Sono presidente onorario di quello di Bergamo e mi hanno voluto anche per la festa per il nuovo locale. Dopo Novara ci sarà la tappa al Folk Club di Torino e poi si chiude a Bibiena di Mantova. Sempre in giro per il mondo, non sei ancora stanco di questa vita? [Ridendo] Oh sì, sono molto, molto stanco. Sono stanco di questa follia. Già parecchio tempo fa avevo deciso di smettere di viaggiare, assolutamente. Ma poi va sempre a finire che infrango questa regola, c’è tanta gente che mi chiede ancora di andare a suonare e non sono mai capace di dire di no! Beh, questa volta c’è comunque, e finalmente, il nuovo disco da presentare… E in fondo, ci sono voluti solo quasi vent’anni [sempre ridendo]. L’ho presa da lontano. E ci ho lavorato tantissimo, ho continuato a tornare il sala d’incisione per modificare, e rifare, e modificare e così alla fine non era pronto al momento di partire. Un vero disastro. Ma ci puoi dare qualche anticipazione su come sarà questo Cd? Sicuramente non sarà un disco di brani per chitarra. E’ già molto tempo che mi muovo in questa direzione, cerco di comporre musica, non pezzi per chitarra. Anche se poi è quello che continuano a chiedermi. Così ho detto, va bene, ok, ma è l’ultima volta. Ma sono brani che avevo già composto, sulla carta, e che ho dovuto, letteralmente, trasporre sulla chitarra. Sembra una pazzia, ma è andata esattamente così. Cosa ci dobbiamo aspettare? Ci sono diversi brani molto romantici, che escono dall’abituale contesto armonico della musicalità celtica. Sono abbastanza inusuali per il mio modo di suonare, e di essere. Ma, del resto, non ho nessun controllo su quello che scrivo e su quello che mi viene da suonare. Preso da questo romantic mood ho poi arrangiato alcuni brani del musicista francese Eric Satie. Ci sono anche alcuni arrangiamenti dei lavori di Jerry Roll Morton, il pianista americano che viene considerato uno dei padri del ragtime. Come lavori sugli arrangiamenti? Affronti prima la melodia o il contesto armonico? Dipende. Anzi, non ne ho assolutamente idea. Mi limito a vedere cosa succede mentre suono. A volte sorprende anche me. Quando lavoro sui brani altri compositori, come nel caso di Satie, cerco soprattutto di conservarne lo spirito originale del pezzo, sia pur con i limiti espressivi della chitarra, adattandolo senza stravolgerlo completamente. Personalmente ritengo sia un gran periodo per la chitarra acustica. Cosa ne pensi? Si, in effetti me lo sento ripetere da tutte le parti, per cui penso che sia vero. Mi pare si siano moltiplicate le manifestazioni in cui si può suonare e c’è tanta gente in giro che fa ottima musica… Ci pensavo proprio in questi giorni, la nuova generazione di musicisti che sta emergendo ha davvero tante possibilità, in questo senso. E c’è gente in giro che suona della gran musica, anche se non tutti sono proprio dei ragazzini. Anzi, in alcuni casi si tratta di musicisti completi e maturi. C’è stato un grosso risveglio, un rinnovato interesse per sia per la tecnica che per il feel della musica acustica. E cosa ne pensi delle nuove tecniche applicate alla chitarra acustica? Mi riferisco a tapping, percussioni e via discorrendo… C’è stato un grosso salto qualitativo, indubbiamente. Quando sento gente come Clive Carroll, lo conosci? Sì, l’ho visto qualche mese fa al Festival di Sarzana. Suona in un modo assolutamente eccezionale, non ho mai sentito niente di simile, prima d’ora. Non c’è il rischio che tutta questa tecnica vada a discapito della qualità della proposta musicale? Ovviamente non mi sto riferendo a Carroll, ma non è che a volte si cerca di mascherare una certa povertà di idee? Questo è un problema che capita un po’ con tutti gli strumenti. Ci sono sempre musicisti che si dedicano, anima e corpo, a portare a livelli estremi le proprie capacità tecniche. E’ ovvio che sarebbe meglio se questo apporto servisse a migliorare l’espressività dello strumento, ampliandone le potenzialità, contribuisse alla sua evoluzione. Certo, quando tecnica ed espressività vanno a braccetto è semplicemente fantastico. Un ragazzo eccezionale, in questo senso, è Tony McManuss. Che non è arrivato alla chitarra attraverso un percorso tradizionale, ascoltando i fingerpickers americani o i chitarristi folk scozzesi, ma è partito dalla musica folk suonata con flauto, violino e cornamusa e ha trasportato tutto questo sulla chitarra. E’ semplicemente stupefacente. La tua dimensione live, solo voce e chitarra è molto impegnativa, forse la più difficile da affrontare. Non hai mai la nostalgia di un gruppo alle spalle? La verità è che ritengo che suonare da soli sia molto più semplice, molto più facile che con una band. Almeno non c’è bisogno di una laurea in psichiatria. Penso che non ci sia niente di peggio che essere il leader di una band. Mi diverto molto a suonare con altri musicisti, ma preferisco potermi gestire senza dipendere da nessuno. Ti emoziona ancora suonare la chitarra? Mi emoziona ogni genere di musica, la chitarra ovviamente ne è una parte fondamentale. Io suono la chitarra e quindi mi piace molto. Ma sono diventato chitarrista solo per motivi economici: quando ho iniziato ero povero in canna ed era la cosa più a buon mercato che ho trovato, 5 sterline se non ricordo male. Così sono diventato un chitarrista, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altro strumento, perché in fondo quello che mi interessa è la musica. Ma, artisticamente, a che punto ti senti di essere arrivato? Non ho mai avuto nessuna ambizione di essere considerato un mostro sacro o qualcosa del genere. Per dirla tutta, non ho mai avuto ambizioni di nessun genere. Ho avuto la grossa fortuna di fare un genere di vita che mi porta ad incontrare tanta gente che apprezza quello che faccio, in ogni angolo del mondo, ed è la cosa più bella che mi possa capitare. Dedichi ancora molto tempo allo studio dello strumento? Sì, per forza di cose. Da parecchi anni insegno al Darlington College of Arts e all’università di Exeter, vicino a New Castle, e mi devo tenere aggiornato. A parte il famoso disco, a cosa stai lavorando in questo periodo? Ho appena finito di registrare alcuni brani per la colonna sonora di un film, ed è stata la mia prima esperienza in questo campo. La pellicola si intitola “Driving Lessons” e tra i protagonisti c’è Rupert Grint, uno dei ragazzi della saga di Herry Potter [si tratta dell’attore che interpreta il rosso Weasley, l’amico per la pelle del maghetto più famoso del mondo. Il film è uscito in Italia a novembre 2006, per la verità un po’ sottotono, con il titolo “In viaggio con Evie” N.d.A]. Quindi sono diventato anche un compositore di colonne sonore. Poi, per dar seguito alle richieste della nostra casa discografica, stiamo parlando di fare, a breve, qualcosa con i Pentangle. Sembra che questa volta siamo tutti d’accordo che si possa suonare ancora assieme. Il grosso problema sarà vedere se e cosa ci ricordiamo dei nostri pezzi [continuando a ridacchiare, cosa che per altro non ha mai smesso di fare praticamente per tutta l’intervista]. A breve dovrebbe uscire anche un nuovo disco. Fantastico, è grande notizia per tutti i vostri fans! Non lo so, probabilmente. Speriamo che sia anche fantastico ascoltarci di nuovo. Che genere di musica ascolti, abitualmente? Ascolto tantissime cose diverse, che in buona parte sono anche di amici, gente che conosco. In particolare amo Jimmy Martin, un cantante blue grass che suona in autentico stile hill bill. Che è probabilmente l’esatto opposto di quello che di solito ci si aspetta che io ascolti. Mi piacciono poi molto i vecchi chitarristi blues, come T-Bone Walker, tutto il blues delle radici e la musica tradizionale americana in generale. Ultimamente mi sono appassionato ai lavori di David Soldier, un compositore americano che è assolutamente fuori da ogni schema. Ha scritto dei brani per l’orchestra tailandese di… elefanti. Rido, ma non sto scherzando. Esiste veramente, è da sentire, io non ci potevo credere. E’ assolutamente assurdo, ma assolutamente vero. Siamo anche oltre la follia di Pascale Comelade, che ha registrato dei dischi con strumenti giocattolo per bambini… Non lo conosco, ma lo cercherò. E’ molto probabile che mi piaccia. Per restare in tema un altro artista assolutamente incredibile è Ljubo Majstorovic. Suona la chitarra elettrica con una tecnica veramente particolare: sfrutta l’elasticità del manico, tirando e spingendo con la mano destra, per ottenere sonorità microtonali. Sono aree di sperimentazione che mi interessano moltissimo. C’è qualche chitarrista italiano che conosci? Ho suonato spesso al Folk Studio, in Roma, e ne ho conosciuti e apprezzati molti. Se non ricordo male, ci ho anche registrato un disco dal vivo [Chitarre n.xxx]. E poi c’è quel ragazzo siciliano, Reno Brandoni, che mi piace molto. Che chitarra stai usando, in questo periodo? Sto utilizzando uno splendido strumento costruito da Nick Kukich della Franklin Guitar, veramente eccellente. Guarda caso la stessa che usa in questo periodo Brandoni… Sì, ma la sua mi pare che sia già della serie nuova. Anche Grossman le usa, sono strumenti semplicemente eccezionali. La mia, purtroppo, è una chitarra sfortunata, tutte le volte che la prendo in mano ci faccio un danno. Così quando è stato il momento di partire per questo tour ho preso il telefono e ho chiamato Ralph Bown, un liutaio inglese con cui collaboro da anni e gli ho chiesto se poteva darmi una chitarra. Ma non ho avuto molta scelta, ne aveva in casa solo una in casa, che aveva appena terminato. Però mi è andata bene, suona davvero alla grande. E’ amplificata con un Fishmann Rare Heart, se ho visto bene? Sì, anche se il mio è ancora un prototipo del progettista, che poi ne ha ceduto i copyright alla Fishmann. Per cui è probabile che quelli di serie suonino anche meglio del mio. Un’ultima cosa, ho visto che hai delle unghie pazzesche, sono sintetiche? Lo spero bene! [ennesima, grossa risata].
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