Tommy Emmanuel

Intervista del 2007, pubblicat su Folk bullettin lo stesso anno William Thomas Emmanuel è nato 52 anni fa a Muswellbrook nel New South Wales, in Australia. Talentuoso e precoce, comincia a suonare giovanissimo. In gruppo con i fratelli e la sorella porta in giro per tutto il continente uno spettacolo musicale di grosso successo. A soli 11 anni è un professionista a tutti gli effetti. In Australia è considerato uno dei migliori musicisti di sempre, premiato con tre dischi di platino e con alle spalle una lista di collaborazioni di prestigio davvero infinita. Ha suonato con Sir George Martin (produttore e guida dei Beatles), Stevie Wonder, Erik Clapton, Michael Bolton, Tina Turner, Cliff Richard, Olivia Newton John, John Denver, Hank Marvin, Bruce Welch, Joan Armatrading, Robben Ford, Albert Lee, Larry Carlton, James Burton, Tina Arena e John Farnham, I Pooh (con i quali ha partecipato al Tour 2001) e recentemente Bill Wyman, storico bassista dei Rolling Stones con il quale ha effettuato una serie di concerti in Inghilterra. Negli ultimi anni si è dedicato esclusivamente alla chitarra acustica, segnato irrimediabilmente dall’incontro con Chet Atkins, che nell’ultimo periodo della sua vita è stato per lui un vero mentore. Forse uno principali “responsabili” della rinascita della chitarra acustica degli ultimi anni, il ciclone australiano sul palco è nella sua dimensione ideale, regalando uno spettacolo indimenticabile. E non solo per i chitarristi. Lo abbiamo incontrato a Stresa, prima di un concerto davvero all’altezza delle aspettative e, nel corso di una conferenza stampa simpatica ma un po’ confusa, abbiamo scambiato qualche parola. Ormai sei quasi di casa, in Italia. Ma nella zona di Stresa ci eri già stato ? Sì, in effetti vengo sempre volentieri nel vostro paese. Mi piace così tanto, e ho suonato davvero in tantissimi posti. E spesso capita di scoprire delle località davvero belle, come questa. E del pubblico italiano, cosa ne pensi ? Favoloso. Semplicemente strepitoso. Ogni sera è un’esperienza unica, davvero irripetibile. Certo che con 300/340 concerti all’anno… come fai a tenere un ritmo del genere ? E’ sempre il pubblico che mi da la giusta carica, mi fa trovare le motivazioni per andare avanti. E’ un po’ una droga, per me. Ci sono sere in ci faccio davvero fatica a salire sul palco. Magari mi fanno male le mani, spesso ho delle piccole ferite che mi provoco con il mio modo di suonare un po’ troppo impetuoso, penso di non riuscire a fare un concerto all’altezza delle aspettative. Poi vado in scena e ricevo questo incredibile abbraccio da parte della gente, questo entusiamo, e in un attimo è tutto dimenticato. Davvero, non ne potrei fare a meno. Qualcuno ha scritto che se Dio suonasse la chitarra, probabilmente la suonerebbe come Tommy Emmanuel… E si sbagliava di grosso. Anzi, è proprio alle sue mani che mi affido tutte le sere, prima di salire sul palco. Sai, questo mio modo di suonare, di approcciare lo strumento è di forte impatto, indubbiamente. Ma alla fine mi considero solo un cantante, accompagnato da un’orchestra, che cerca di proporre delle belle melodie. Ma faccio tutto da solo, sono io la mia orchestra. Lo so che ai miei concerti vengono molti chitarristi, e mi fa piacere. Ma non è questa la cosa più importante. A me interessa fare della bella musica. In effetti quando ti si sente suonare al prima volta, l’impatto è abbastanza devastante. Molto spesso i tuoi fans invertono le iniziali del tuo nome in ET, come extraterrestre. Come sei arrivato a sviluppare questa tecnica ? Quanto ci è voluto ? Suono la chitarra da quando avevo quattro anni e da quasi quarantasette faccio questo lavoro...
Suoni anche altri strumenti ? Beh, sì la batteria e diverse percussioni. Ma penso che si capisca anche da come suono la chitarra. Mi piacerebbe tanto anche imparare a suonare il pianoforte, ma non ci riesco proprio. So che la tua famiglia ti ha sempre appoggiato molto, con i tuoi fratelli avevate un gruppo vero ? Qualche anedotto di quegli inizi ? Io e i miei fratelli volevamo delle chitarre elettriche. Abbiamo sfinito nostro padre per averle. Alla fine, un bel giorno, è arrivato a casa con le chitarre elettriche. Noi lo abbiamo ringraziato e gli abbiamo chiesto dove fossero gli amplificatori. Amplificatori ? ci ha risposto. Non aveva idea che che fossero necessari per suonare l’elettrica. Volevate le voster chitarre e le aveve avute, ha tagliato corto. Così usavamo l’armadio di mamma, enorme, tutto in legno, puntandoci contro la paletta per sfruttarlo come cassa di risonanza. Non si sentiva un granché e lo stavamo rigando tutto. Così, alla fine, abbiamo avuto i nostri amplificatori. Visto che sei sempre in giro per il mondo, dove trovi il tempo e l’ispirazione per le tue canzoni ? Dove capita. In aeroporto, il albergo o per strada. Anche perché non mi capita mai di mettermi seduto e decidere di comporre. Non è un atto volontario. Devo fissare l'’spirazione quando arriva, nei momenti più improbabili. Uno dei brani dell’ultimo disco l’ho composto in aeroporto, a Sidney. Mentre aspettavamo il volo, ho preso la chitarra e ho cominciato a lavorarci sopra. Quando il pezzo era quasi a posto, ho sentito una bimba, vicino a me, che stava cantando la mia canzone. Questa piccola aveva un senso musicale davvero incredibile. Ho subito chiesto alla mamma come si chiamasse e lo ho raccomandato di curare il talento della figlia. Così è nata Ruby’s Eye. Ma tutto Mistery è stato composto in questo modo, catturando immagini e ispirazione dai viaggi e dalla gente che incontravo ogni giorno. La stesa title track parla del mistero delle persone che incrociamo ogni giorno. La nostra anima, la nostra spiritualità e la musica sono un tutt’uno, inscindile.
Ma come lavori sugli arrangiamenti, prima lavori sulla melodia e poi passi all’arrangiamento ? Io compongo con la testa, il cuore e l’anima. Ma non so scrivere musica, per cui devo fissare tutto nel momento stesso in cui ce l’ho in testa. Suono e risuono finché il risultato non è quello che avevo in mente. Poi lo registro. Ma non c’è niente di studiato a tavolino. La tua prima tournée in Italia, tanti anni fa, l’hai fatta con i Pooh. Che ricordi hai di quell’esperienza ? Anche se verrebbe da chiedersi chi faceva da spalla a chi… Oh no, ero io a suonare per l’apertura del concerto, e mi univo al gruppo per un paio di canzoni, nell’arco della serata. E’ stata davvero un’esperienza fantastica. Anche a livello umano, sono persone favolose. La loro musica forse è un po’ commerciale, ma è grandiosa, sono musicisti eccellenti. Dodi Battaglia, comunque, è rimasto abbastanza segnato dalla tua influenza… E’ una bella persona, un amico. La prima sera che mi ha sentito suonare, mentre facevo Monna Lisa l’ho visto piangere come un bambino. Ancora desso, quando ci vediamo, è la prima canzone che devo suonare. Qualche consiglio per i tatnti giovani che rimangono folgorati dal tuo modo di suonare e vorrebbero accostarsi al tuo stile ? La tecnica sullo strumento è importantissima, non ci sono dubbi. Ma bisogna avere anche qualcosa da dire. Ci vogliono delle belle canzoni da proporre. Ci sarà un motivo se, dopo tanti anni, siamo ancora tutti qui a canticchiare Beatles, Lionel Ritchie, James Taylor e tutti gli altri.

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