FRANCO MORONE

Intervista pubblica su Rockerilla nel 2011
Un vero poeta della chitarra, un artista incredibile per vocazione e ispirazione. A pieno titolo tra i grandi degli ultimi anni, Franco ha un tocco, una voce sullo strumento, un approccio all’arrangimento che lo rendono immediatamente riconoscibile e unico. L’uscita del nuovo disco ‘Miles of Blues’ è l’occasione giusta per fare una bella chiacchierata. Molti dei chitarristi fingerstyle attualmente in circolazione ti indicano come riferimento stilistico. Ma tu come sei arrivato a questo approccio alla chitarra? Mi fa molto piacere essere citato spesso come punto di riferimento. Diversi chitarristi, che in passato hanno frequentato i miei seminari, ora sono professionisti. Altri semplicemente hanno studiato sui miei libri, altri ancora magari sono stati influenzati ascoltando i miei cd. Anche i concerti rappresentano un veicolo di contaminazione molto forte... Non mi considero un chitarrista virtuoso, quindi pensare che ricevano questi input dalla mia musica mi rende ancora più felice. La mia carriera è iniziata alla fine degli anni ‘80 e, già qualche anno dopo, per diversi appassionati rappresentavo il modello di chitarrista che in qualche modo ce l’aveva fatta, con un genere che, oltre ad essere strumentale, da sempre è definito di nicchia. Capisci bene come, in certi casi, sia importante il precedente. Il mio approccio con lo strumento è stato, per lo meno nei primi anni, molto istintivo e personale. Ho sviluppato l’orecchio tirando giù dai dischi e dalle cassette i passaggi che mi piacevano... dopo un tot di ascolti c’erano puntine che saltavano e nastri che si spezzavano. Poi, quando ho iniziato a lavorare al mio primo libro sul blues, ho dovuto riprendere e migliorare l’approccio con la musica scritta: pentagramma, armonia, ecc. I miei riferimenti sono stati in maggior parte musicisti di confine e bluesmen, che pochi conoscevano all’epoca. Poi il rock della mia generazione, ma soprattutto ho avuto un approccio più generale, ascoltando musica di ogni genere.
Il tuo ultimo Cd “Miles Of Blues” è una sorta di ritorno alle origini, al primo amore del blues. Che disco è? Era da un po’ di tempo che pensavo a questo progetto. Nella mia discografia mancava una raccolta blues, ma la passione per questo genere musicale l’ho avuta da sempre. Poi, anche per motivi legati all’origine di questo strumento, ho ascoltato, suonato e studiato interpreti di diverse generazioni. Miles of Blues ha un approccio ampio perché è una collezione di brani molto diversi tra loro. Chi ha una visione del blues legata ai soliti tre accordi magari sarà probabilmente di opinione diversa, ma tutto il cd ruota attorno a mood diversi: dal jazz al country, dalle blue songs allo stile bottleneck. Penso che la varietà modi e di stili compensi il fatto si tratti un disco di sola chitarra. Propongo alcune mie composizioni, tratte da libri, che non erano mai state incise su un cd e che ora, a distanza di tempo, interpreto in maniera diversa: All that Swing, Slowing That Blues, Crazy Basses e Back to Nashville. Poi in diversi brani, come Blues When I Lost You, Rainy Night in New York e Chicago spesso, dopo il tema inserisco improvvisazioni che lasciano un impronta molto vicina agli standard jazz. Ci sono infatti Summertime, Mercy Mercy Mercy e folk songs classiche come Great Dream from Heaven e Sitting in a Limbo. Quindi dal blues jazzistico di Georgie Gershwin e Joe Zaniwul, fino a quello di confine con richiami a Ry Cooder e Joseph Spence e poi ancora Chicago style, una canzone blues di Jimmy Cliff, del Travis picking e ovviamente cose più personali di mia composizione. Negli ultimi anni hai pubblicato una serie di dischi “a tema”, affrontando un repertorio particolare con arrangiamenti sempre molto centrati sullo stile che ti eri prefissato. Come riesci a passare da tradizionali popolari italiani, alla musica irlandese passando per il jazz, fino al blues sempre in maniera così focalizzata? In questo modo riesco a concentrarmi meglio su un genere, un linguaggio. Ci sono periodi durante i quali ascolto, leggo e suono cose a tema. Come se fossero stagioni, durante le quali intraprendo un viaggio. E poi scopro le strade migliori per interpretare e arrangiare certe cose sulla chitarra. Mediamente, ogni ricerca porta via un paio di anni. I brani che mi interessano li suono finché non arrivo a sentirli miei. In qualche modo è necessario conoscerli bene, non solo musicalmente. Ascolto anche diverse versioni dello stesso brano, per averne una visione più completa. Non bisogna dimenticare che tutti questi generi, sebbene diversi tra loro, hanno in comune il fatto di essere ‘tradizionali’ che quindi hanno più cose in comune di quanto si immagini. Ad esempio, per tutti l’interpretazione e lo stile dell’esecutore diventa un fattore predominante. Ti confronti con tanti generi musicali differenti, ma hai delle preferenze in merito? Cosa preferisci suonare, con cosa sei più a tuo agio? A parte la musica tradizionale, le cose che preferisco suonare sono le mie composizioni. Quelle arrivo a sentirle mie al 100%. Anche i miei brani originali, però, quando nascono non saltano fuori dal nulla, sono sempre frutto dell’esperienza. La pratica dell’arrangiamento certamente arricchisce il vocabolario, come un bagaglio prezioso che involontariamente riutilizzo anche nella composizione. A seguire, sicuramente il genere che sento più vicino è proprio il blues, sarà anche per tutte le implicazioni che ha avuto con la musica degli anni 80’/90’, quella della mia generazione per intenderci. Hai sviluppato un approccio all’arrangiamento e allo strumento stesso che ti danno una voce sulla chitarra assolutamente personale, immediatamente riconoscibile. Come ci sei arrivato? Si, anche quando suono cose diverse dicono che il mio suono è immediatamente riconoscibile... in positivo spero… Ci sono sicuramente più ragioni per questo. Può dipendere sia da alcune accordature, che hanno una sonorità simile, quanto al modo di fare ornamenti come nella musica celtica, che diventa col tempo uno stile personale che ripresento anche in altri brani. Alle orecchie attente dell’ascoltatore alcuni passaggi eseguiti in brani diversi hanno lo stesso sapore, come piatti diversi cucinati dallo stesso cuoco... immagina di avere una tua spezia di base, con altre mille sfumature, che alla fine riportano a quella originale. Da alcuni anni hai affiancato l’attività di concertista a quella di produttore, con la tua etichetta Acoustic Guitar Records. Come ti senti in questa nuova veste? Sicuramente c’è da lavorare di più, ma è molto meglio. Quando vieni prodotto da una etichetta ti aspetti che ti sostenga in un certo modo. E il più delle volte resti deluso, perché i risultati sono spesso non all’altezza. Poi non sempre hai il controllo sulla grafica e a volte neanche sulle registrazioni. Non a caso questo ultimo cd mi dicono sia in assoluto il più bello che abbia mai realizzato. Anche per il suono. Il fatto che ora abbia uno studio in casa mi permette di seguire la produzione in tutte le sue fasi. Non è mai semplice far capire ad un fonico, che ha le sue ferme convinzioni in materia, come desideri che sia il tuo suono... insomma il vecchio detto chi fa da sé fa per tre, resta sempre valido.
Adesso su cosa stai lavorando? Sto preparando le trascrizioni con intavolatura di Miles od Blues, ed è un lavoro lungo e impegnativo. Ma scrivere la propria musica è sempre molto importante. Gli ultimi libri che ho pubblicato, come Basic Fingerstyle, Celtic Fingerstyle e My Acoustic Blues Guitar, hanno avvicinato sempre più persone alla chitarra acustica. Magari sarà anche merito di youtube o di facebook, ma i testi didattici rappresentano una voce importante del nostro shop www.francomorome.it/catalog. Inviamo libri e cd in tutto il mondo e certamente in questo modo non hai l’assillo della distribuzione a tutti i costi. Con Raffaella Luna avete in programma un secondo capitolo di “Song We Love”? Certo, Raffaella diventa ogni giorno più brava con il canto, ma anche con la chitarra devo dire. Continua a studiare, anche se non ne avrebbe bisogno, è veramente superlativa! Stiamo selezionando il materiale per un prossimo cd di tradizionali e canzoni italiane. Ci saranno anche brani molto conosciuti. In ogni caso cercheremo di proporre il tutto in maniera genuina e non filtrata attraverso gli stereotipi, le scelte che si fanno per i prodotti che devono vendere. Spesso si produce musica finta, con l’unico scopo di intrattenere e di far in modo che il motivetto ti resti piantato come un tarlo nella testa. Penso il nostro problema è che molti ascoltano musica in maniera casuale e maturano l’idea che debba avere solo questa funzione: l’intrattenimento. Non c’è cosa più irritante, culturalmente parlando. E’ come avere idea che la gente ascolta musica solo quando non ha niente di meglio da fare, così per passare il tempo. La mia battaglia personale è sempre stata quella di far capire che la musica è ben altro. L’importante è che ciascuno decida cosa ascoltare, senza che i media impongano tutta quella spazzatura che spesso, anche involontariamente, siamo costretti ad ascoltare. Viviamo, d’altro canto, in un periodo nel quale si ha la possibilità di scegliere tra mille canali alternativi e interattivi. Con tutti questi mezzi sia l’ascoltatore che il musicista possono arrivare ad affinare le proprie preferenze e un proprio stile nel quale riconoscersi.... quindi il diritto di essere liberi, almeno con la musica, esiste ancora. Non per fortuna, ma per scelta!

Commenti