“Certo che ho voglia di fare quattro chiacchiere. E non c’è niente che mi piaccia di più che parlare di me stesso”. Con una partenza del genere, l’incontro con Harry Fleishman, in mezzo alla folla dell’Agim di Sarzana, non poteva cominciare meglio. Il liutaio americano, considerato uno dei più raffinati e visionari della sua generazione, probabilmente l’unico vero erede di Klein, è una persona gentile e solare, con il sorriso sempre a fior di labbra. Soprattutto quando parla delle sue creazioni. “Ho cominciato come musicista, come spesso accade nel nostro mestiere” – racconta – “suonavo il basso e lavoravo come turnista. Ho realizzato abbastanza in fretta che lo strumento che stavo cercando non esisteva. Sono partito da lì, per realizzare un fretless, che si potesse suonare con l’archetto, elettrificato. Nel frattempo continuavo a lavorare, ero spesso in tour in America e in Canada. Ma ho cominciato anche a costruire strumenti per altri” – prosegue – “Onestamente, non ero molto interessato alla chitarra, in quel periodo. Mi sono poi appassionato all’acustica in secondo tempo, per cercare di capire come lo strumento poteva cambiare, evolvere”. Quali sono state le principale influenza in quel periodo? “Steve Klein, senza dubbio, qualcosa di assolutamente diverso dalle varie Martin o Gibson che puoi trovare in commercio. A proposito” – si interrompe – “ho una grande notizia: Steve sta per ricominciare a costruire strumenti, dopo quasi dieci di stop. Dicevamo… ho fatto una lunga sperimentazione sulle chitarre, misurandomi con problemi di ogni tipo. Ho avuto anche un periodo buio, in cui gli affari andavano male. Ad un certo punto ho chiuso il negozio, ho preso tutti gli strumenti su cui stavo lavorando, gli attrezzi e il banco da lavoro, li ho caricati sul furgone e sono andato a buttarli in un cassonetto in una parte ella città che non conoscevo. Sono tornato a scuola, mi sono laureato e ho cominciato a insegnare. Ho anche cambiato città.
Una sera ho incontrato, in piccolo club dove suonava, il
musicista che possiede tuttora la prima chitarra che ho costruito. Il bassista
che si esibiva con lui, che sapeva chi era, mi ha chiesto quando avevo
intenzione di andarmi a riprendere tutta la roba che avevo mollato sotto casa
sua! Erano passati sei anni, e lui l’aveva conservata per tutto quel tempo. Mi
è sembrato un segno, sono ripartito da li”. La tua non è stata comunque una
formazione tradizionale, mi pare di capire… “L’aiuto e l’appoggio di Danny
Stevens sono stati fondamentali, da lui ho imparato molto. Tra l’altro, è
mancato da poco. Ho poi avuto la fortuna di lavorare per parecchio tempo in un
negozio specializzato in strumenti vintage, ho maneggiato per anni chitarre
meravigliose. Questo, unito alla filosofia di Klein di rompere ogni schema, di
sentirsi totalmente liberi nell’approccio alla liuteria, mi hanno portato a
questo tipo di strumenti” – conclude passandomi la sua creazione. Non sono
molti i liutai che si possono permettere di portare a una esposizione come
quella di Sarzana una sola chitarra e lasciare tutti a bocca aperta.
Un’esperienza davvero particolare la classica secondo Fleishman: dal design, al
suono, alla regolazione pivotante del manico, alla cura estrema del dettaglio
fino al design originalissimo delle catenature. “La mia personalità si esprime
attraverso questo tipo di strumenti” – sottolinea – “non mi interessa creare
copie di altri strumenti. Deve essere qualcosa di bello, di mai visto, di
unico”. Ora su cosa stai lavorando? “Sto costruendo un contrabbasso elettrico
per un musicista molto particolare. Mi ha dato indicazioni molto originali:
dovrà essere in parte organico e in parte cibernetico. Lo sto realizzando in
acero e fibra di carbonio…”.
Un giro sul sito di Fleishman
merita davvero la pena farlo. I prezzi che applica non sono proprio ‘popolari’,
ma sognare non costa niente.
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