Intervista pubblicata sulla rivista Chitarre nel 2007
I fratelli Traum sono protagonisti della scena musicale americana dall’inizio degli anni ’60, cresciuti e maturati nello stimolante ambiente del Greenwich Village di New York. Due carriere parallele, simili anche se a tratti molto distanti, che spesso si sono incrociate dando vita ad album che sono autentiche pietre miliari del folk americano.
Happy è ideatore, proprietario e produttore esecutivo della Homepun Tapes, forse la maggiore casa editrice americana nel campo del materiale didattico per chitarra. Il suo catalogo raccoglie video e Dvd che vedono protagonisti i più grandi musicisti degli ultimi quarant’anni. Ma al tempo stesso è un chitarrista acustico colto e raffinato, che ha suonato con Bob Dylan, Peter Seeger e Peter Tosh, tanto per fare qualche nome.
Artie è stato uno dei protagonisti del Greenwich Movement, assieme al fratello, per poi dare una svolta più jazz al suo chitarrismo nella metà degli anni ’80, fortemente influenzato dai lavori dei Weather Report e di Pat Metheny. Amico intimo di Dylan, che gli concesse l’unica, storica intervista, durante il ricovero in ospedale a seguito dell’incidente in moto, negli anni ha maturato una personale impronta musicale e sonora che lo colloca esattamente a cavallo tra il folk americano più sofisticato e lo smooth jazz rarefatto e d’atmosfera.
All’ultimo Acoustic Guitar Meeting di Sarzana si sono esibiti in compagnia di John Sebastian, altro personaggio storico della Woodstock generation, e non è mancata l’occasione per una divertente chiacchierata. Sono bastate poche battute per rendersi conto del perché Happy abbia ricevuto quel soprannome poche ore dopo la nascita.
Se non erro, non è la prima volta che venite in Italia?
HT. No, ma non eravamo mai stati qui a Sarzana, è davvero un posto splendido.
AT. Siamo in Liguria, vero?
Sì, Sarzana è in Liguria, ma molto vicino al confine con la Toscana.
AT. Davvero una cittadina meravigliosa.
Dove siete stati, le altre volte?
HT. L’ultima volta, non molto tempo fa, sono stato nel nord, a Ponte Caffaro, vicino a Brescia, per un grosso festival. Ricordo che c’erano tantissimi artisti che si esibivano.
AT. Per me l’ultima volta è stata nel 1999, a Palermo, in Sicilia.
E’ stata in quell’occasione che hai scritto il famoso articolo per il New York Times?
AT. Esatto, quando sono tornato in America ho scritto un pezzo sul mio viaggio nelle isole attorno alla Sicilia, intitolato appunto “The Aeolian Island”. Dopo la pubblicazione sul New York Times Sunday Travel Section sono stato premiato con l’Italian Leonardo Award in giornalismo internazionale. E’ stata una grossa soddisfazione, anche perché ho amato molto quella terra. E il cibo… ci sei mai stato?
Sì, una volta per lavoro.
AT. Allora sai esattamente di cosa sto parlando [sorridendo, con gli occhi sognanti].
Assolutamente. Ma se vogliamo evitare che questo articolo vada a finire su una rivista di cucina, sarà meglio tornare alle vostre attività artistiche. Vogliamo parlare un po’ del lavoro della Homespun Tapes? Quando è iniziata questa avventura?
HT. [ridendo] Certo! Ho registrato la mia prima cassetta per l’insegnamento nel 1969. Realizzandola proprio con un registratore a cassette [mimando con le dita il nastro che gira sulle rotelline]. Stiamo parlando di più di quaranta anni fa, quindi.
E adesso, quanti sono i titoli in catalogo?
HT. Sinceramente? Non ne ho idea [ridendo di nuovo]. Devono essere più di duecentocinquanta, ormai, ma di preciso non lo so.
Il passaggio dal formato a cassetta a quello video è stato un passo fondamentale per la Homespun. Cosa vi ha spinto in quella direzione?
HT. Nel 1982, in pieno boom del Vhs, abbiamo intuito le potenzialità quel mercato. Così abbiamo spedito un questionario a tutti gli iscritti alla nostra mailing list, chiedendo loro cosa ne pensassero di questo supporto, se fossero interessati a video didattici. Il novanta per cento ha risposto: assolutamente no, non sappiamo che farcene degli home video, non abbiamo neanche il riproduttore…
E siete andati avanti lo stesso?
HT. Certamente, solo tre anni dopo la nostra produzione era completamente rivolta al mercato home video.
Si può dire che i primi video didattici che avete realizzato ormai si possono considerare, a tutti gli effetti, dei veri documenti storici.
HT. Penso proprio di sì. Ci sono tante registrazioni che nel corso del tempo hanno acquisito, o acquisiranno, un autentico valore documentale.
Qual’è il ruolo di tua moglie Jane all’interno di tutto questo?
HT. E’ lei che porta avanti il business, il vero motore di tutta l’attività. Io mi limito a suonare la mia chitarra [risate generali]. Scherzi a parte, io rivesto il ruolo di produttore, ma la parte pratica è tutta sulle sue spalle.
Registrare uno dei vostri video è considerato, ormai, un riconoscimento per un musicista. Ma è mai capitato che qualcuno non accettasse di registrare un video?
HT. Sì, è successo qualche volta. Ci sono persone che non si sentono a proprio agio nel ruolo di insegnanti. Non ci si vedono proprio. Si sentono concertisti, non didatti. Non condivido un punto di vista così estremo, ma posso capire cosa intendono.
Del resto, saper suonare non vuol dire saper anche insegnare.
HT. Non è semplice prendersi una responsabilità del genere.
Parallelamente alla Homespun avete comunque sempre portato avanti la vostra carriera artistica?
HT. Da quando ho iniziato a suonare la chitarra, nel 1954 con Brownie McGhee, ho sempre portato avanti le due cose insieme. Insegnavo e suonavo.
AT. Anch’io ho iniziato a suonare professionalmente negli anni ’60, un po’ in tutto il mondo. Eravamo all’interno del circuito folk di quegli anni, che era molto attivo. Formazioni dinamiche, musicisti che erano in grado di scambiarsi i ruoli. Suonavamo tantissimo.
Da allora non vi siete praticamente mai fermati. Sempre in giro per il mondo. Non siete ancora stanchi di tutto questo viaggiare?
HT. Dipende da dove si deve andare. Se c’è da venire in Italia, nessun problema. Probabilmente andare in Irak sarebbe tutt’altra cosa [ridacchiando con il fratello]. Ma per l’Italia, per l’Europa, siamo sempre disponibilissimi.
Anche perché qui da noi, questo è periodo molto buono per la chitarra acustica.
AT. Davvero, ci sono tantissimi grandi musicisti in circolazione. E il livello qualitativo che hanno raggiunto gli strumenti è semplicemente sorprendente.
HT. Si sono moltiplicate anche le iniziative, gli spazi in cui ci si può esibire, c’è una grande circolazione delle idee. Ci sono dei musicisti fantastici in giro. Mi viene in mente Beppe Gambetta, che è stato per un po’ in America, ha anche registrato un video per noi, poi è tornato in Italia dando un contributo fondamentale alla diffusione della cultura della chitarra acustica in tutta Europa.
AT. Il livello tecnico dei musicisti in generale, si è alzato tantissimo. Ho seguito il contest dell’altra sera [il New Sound of Acoustic Music, la prima serata della manifestazione n.d.a.] e sono rimasto impressionato: ci sono ragazzi giovanissimi con una tecnica impressionante. E questa è una cosa molto importante.
HT. Gli manca solo l’esperienza, anche quella ha la sua importanza…
AT. Sì, certo, hai ragione. Ma è fondamentale avere un solido bagaglio tecnico, poi, con il passare degli anni, il feeling e l’approccio con il palco miglioreranno.
Il vincitore del concorso, Luca Benazzi, in effetti ha solo diciannove anni…
AT. Davvero? Ho visto che era giovane… ma non pensavo così giovane. Davvero stupefacente!
A proposito di età, a questo punto della vostra carriera dove vi sentite di essere arrivati? Come artisti e come chitarristi?
AT. Penso di riuscire ad esprimere in musica quello che sento dentro, in maniera compiuta. E mi riesce facilmente, in modo molto spontaneo. Ma ci è voluto tanto tempo, veramente tanto, per arrivare a questo punto. Adesso, finalmente, ci riesco in modo convincente.
HT. Ho passato buona parte della mia vita, come musicista, a suonare con altri. E ho suonato molte cose diverse, nel corso degli anni. Ora sto riscoprendo pian piano le mie radici, che affondano nel folk americano quanto nel jazz, nel blues e nel country tradizionale.
Quali saranno i vostri progetti futuri?
HT. Ho in programma alcuni video con… qualcuno [risate generali], in questo momento non ricordo tutti i dettagli. Devo fare ancora un concerto a Portland, poi posso rientrare a casa. A breve dovremmo realizzare il video di Keb Mo, lo conosci?
Il chitarrista blues?
HT. Proprio lui, l’uscita del video è programmata per luglio, quindi è ora di cominciare a lavorarci sopra.
AT. Progetti per il futuro? Non saprei. Beh, sta per uscire il mio nuovo disco, Thief of Time, questione di un paio di settimane. Poi sicuramente ci saranno una serie di concerti dal vivo, probabilmente da solo. Ma sono cose in via di definizione.
Qualche anticipazione su questo nuovo lavoro?
AT. Uhmm, te ne farò avere una copia, così mi dici cosa ne pensi.
E’ un disco di sola chitarra acustica?
AT. No, sono accompagnato da una sezione ritmica, basso e batteria. E dal piano, in alcuni pezzi.
Parliamo un po’ delle chitarre che state utilizzando in questo periodo?
AT. Sono endorser della Taylor. Amo in particolare il nuovo sistema di amplificazione che hanno progettato, l’Expression System, suona veramente bene in qualsiasi situazione. Devo dire che in questi giorni, in giro per l’esposizione, ho visto e sentito delle chitarre davvero splendide, con trasduttori molto interessanti. Anche se, personalmente, sono convinto che la qualità del suono stia più nelle capacità del musicista che non nella bontà dei legni o nel pick che viene montato. Un buon musicista è in grado di far suonare bene qualsiasi strumento.
HT. Anch’io utilizzo Taylor, la 912 cutaway.
La tua, in particolare, personalmente trovo sia bellissima, anche con tutti quegli intarsi in abalone è molto elegante..
HT. Grazie, è una chitarra che amo molto, il mio strumento principale quando suono dal vivo. A casa ho diverse belle chitarre, che suono in studio, ma non sono amplificate. Per cui, quando vado fuori mi affido a Taylor, è una garanzia in questo senso.
Niente effetti?
HT. Personalmente non uso nulla.
AT. Qualche volta uso una punta di delay e di riverbero, dipende dalle situazioni. Ieri sera, ad esempio, niente.
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